Arcipelago Gulag è un saggio di inchiesta narrativa, edito in tre volumi, scritto tra il 1958 e il 1968 da Aleksandr Solženicyn sul sistema dei campi di lavoro forzato nell'URSS. Durante il regime comunista, l'utilizzo sistematico della giustizia politica disseminò l'Unione Sovietica di campi di concentramento.
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Arcipelago Gulag | |
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Titolo originale | Архипелаг ГУЛаг |
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Autore | Aleksandr Isaevič Solženicyn |
1ª ed. originale | 1973 |
1ª ed. italiana | I vol. 1974 |
Genere | saggio |
Sottogenere | inchiesta narrativa |
Lingua originale | russo |
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Il Gulag (da: Glavnoe Upravlenie LAGerej i mest zakljuchenija, Direzione generale dei campi e dei luoghi di detenzione) era un'istituzione penitenziaria volta a rieducare il prigioniero spesso tramite il lavoro. Oggi, con la parola “gulag” in Occidente si intende spesso qualsiasi carcere o campo di prigionia sovietico. Poggiando su testimoni oculari - vittime superstiti - e materiale primario di ricerca, l'autore vi riversò anche la propria esperienza di prigioniero politico nei campi di lavoro forzato; egli vi percorre l'iter carcerario: dall'istruttoria ai lager speciali, dall'arresto cagionato da una delazione, fino al termine della pena scontata.
Arcipelago Gulag ebbe grande risonanza nell'opinione pubblica internazionale per aver fornito il resoconto più radicale e circostanziato dell'URSS post-rivoluzionaria: Solženicyn vi dimostra che il regime comunista poteva governare sui popoli oppressi dell'Unione Sovietica solo con la minaccia dell'imprigionamento, ma pure che l'economia stessa del Paese dipendeva dalla produttività dei campi di lavoro forzato. L'opera fu pubblicata in Occidente nel 1973 e circolò clandestinamente - in samizdat - nell'URSS fino al 1989, quando fece la sua apparizione sulla rivista letteraria Novyj Mir, in forma ridotta. Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, l'opera fu pubblicata liberamente e integralmente; nel 2009 è divenuta una lettura nelle scuole superiori russe.
Concepito nel 1958, Solženicyn fece pervenire clandestinamente il testo in Occidente poiché il KGB era riuscito ad entrare in possesso di una copia e a sequestrarla. L'autore riuscì a microfilmare il testo e a consegnarlo ad alcuni amici francesi.
Nel 1973 il KGB sequestrò una delle tre copie dattiloscritte del testo ancora esistenti sul suolo sovietico, il sequestro avvenne dopo l'interrogatorio di Elizaveta Voronyanskaya, una delle dattilografe di fiducia di Solženicyn[1], e che era a conoscenza del nascondiglio della copia. Voronyanskaya, il 3 agosto 1973, pochi giorni dopo il suo rilascio in libertà, si suicidò impiccandosi[2]. Solženicyn, che desiderava che la prima pubblicazione del suo libro avvenisse in Russia, appresa questa notizia, decise di permetterne l'immediata pubblicazione all'estero.
Arcipelago Gulag fu pubblicato in prima edizione e in lingua russa dall'Editore Seuil a Parigi nel 1973; il 12 febbraio 1974, il KGB arrestò Solženicyn e lo costrinse all'esilio.
Il saggio di inchiesta narrativa, venne pubblicato in Italia il 25 maggio 1974 per i tipi della Mondadori. Il curatore Domenico Porzio lamentò però lo scarso rilievo pubblicitario che la casa editrice dedicò all'opera.[3]
Pietro Citati recensì positivamente Arcipelago Gulag sul «Corriere della Sera» del 16 giugno 1974, considerandolo principalmente il memoriale di un prigioniero scampato a una più dura sorte.[4]
Italo Calvino, pur confermando di aver nutrito ammirazione per l'autore che in passato aveva definito "l'uomo che aveva assunto il ruolo di coscienza del suo paese, testimone di verità affermate con rischio continuo, contro la pressione d'un apparato di forze smisurate" , espresse tutta la sua delusione per l'opera (e l'autore), contestando l'eccesso dogmatico del messaggio cristiano come unico potere salvifico, contenuto in Arcipelago Gulag[5].
Carlo Ossola criticò invece il profilo artistico dell'opera. Umberto Eco definì Solženicyn un "Dostoevskij da strapazzo",[6] e Alberto Moravia sull'Espresso liquidò l'autore come «un nazionalista slavofilo della più bell'acqua».[3] L'opera e il suo autore vennero difesi, tra gli altri, dallo slavista Vittorio Strada, da Enzo Bettiza e da Carlo Bo (autore tra l'altro dell'introduzione all'edizione italiana di Il primo cerchio, pubblicata sempre nel 1974 da Mondadori).
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