Cose di Cosa Nostra è un libro che raccoglie venti interviste fatte tra marzo e giugno 1991 a Giovanni Falcone dalla giornalista francese Marcelle Padovani incentrate sulla mafia siciliana come fenomeno criminale e i tentativi di repressione messi in atto dal magistrato. Le riflessioni di Falcone furono rese dopo aver lasciato Palermo per assumere a Roma un incarico governativo.
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Cose di Cosa Nostra | |
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Autore | Giovanni Falcone e Marcelle Padovani |
1ª ed. originale | 1991 |
Genere | saggio |
Lingua originale | italiano |
Modifica dati su Wikidata · Manuale |
Vengono dati alcuni cenni biografici di Giovanni Falcone e si parla delle sue indagini contro Cosa nostra.
Il capitolo parla delle nuove armi di cui dispone Cosa nostra, come gli AK-47 o i bazooka e non più la lupara. Poi passa al racconto dei metodi di assassinio dei mafiosi e i grandi omicidi dei boss durante la seconda guerra di mafia. Falcone parla anche dei suoi primi anni in magistratura, quando tutti dicevano che "la mafia non esiste".
Giovanni Falcone parla del linguaggio e dei segni usati dai mafiosi. Poi passa a parlare del fenomeno del pentitismo. Soffermandosi soprattutto su Tommaso Buscetta.
Il giudice procuratore Falcone spiega come la Mafia e la società siciliana siano intrecciate l'un l'altra. Rilevante è una citazione del libro Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel quale il principe di Salina definisce il popolo siciliano stanco e vecchio, vecchissimo. Inoltre,viene ridefinito il concetto di Cosa Nostra: "Il dialogo Stato/Mafia, con gli alti e bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti-stato, ma piuttosto un'organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico" [Citazione Necessaria] Sempre in questo capitolo emerge la differenza fra un normale magistrato e Falcone. Falcone nacque a Palermo, in Sicilia. Le origini di Falcone sono le stesse di molti altri uomini d'onore. Durante gli interrogatori, egli sa come affrontarli e come farli parlare mettendoli a proprio agio. Fa sì che l'interpretazione di Giovanni Falcone possa arrivare fin dal principio.
Si espone le caratteristiche di questa istituzione. In Sicilia i mafiosi sono forse più di 5000. Questi però sono scelti dopo una durissima e accurata selezione. L'uomo d'onore, o meglio, il candidato a diventare uomo d'onore deve rispettare delle regole, delle leggi ferree. Alcune: essere violenti, valorosi, capaci di tenere in mano una calibro 38 e di usarla.
Falcone parla dei commerci di droga tra Cosa Nostra residente in Sicilia e quella in America, specificandosi poi dei problemi che sorgevano tra queste due, che ormai erano diventate separate una dall'altra.
L'ultimo capitolo del saggio espone diversi atteggiamenti degli investigatori della mafia che lavoravano con Falcone e anche dei mafiosi. Secondo il giudice, lo Stato aveva le capacità di combattere i criminali mafiosi, ma non ci riusciva in quanto li vedeva più pericolosi. L'arresto e le confessioni di diversi mafiosi però convinse lo Stato a paragonarli a semplici criminali portando Falcone a dire "In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere".
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