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I vecchi e i giovani è un romanzo dello scrittore siciliano Luigi Pirandello, pubblicato a puntate per la prima volta nel 1909 sulla “Rassegna contemporanea”.

Disambiguazione – Se stai cercando la miniserie televisiva tratta dal romanzo, vedi I vecchi e i giovani (miniserie televisiva).
I vecchi e i giovani
Pirandello nel 1934
AutoreLuigi Pirandello
1ª ed. originale1913
Genereromanzo
Sottogenerestorico
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneSicilia, 1892-1893
Personaggi
  • don Ippolito Laurentano
  • Placido Sciaralla
  • don Cosmo Laurentano
  • donna Caterina Laurentano ved. Auriti
  • Gerlando Laurentano
  • Flaminio Salvo
  • Adelaide Salvo
  • Roberto Auriti
  • Ignazio Capolino
  • Mauro Mortara

Trama


È un romanzo sociale di ambientazione siciliana. È la Sicilia dei sanguinosi moti dei Fasci siciliani del 1893, sconvolta dalle lotte di classe, con i clericali da un lato, tesi ad impedire il consolidamento del nuovo regime liberale, e la classe dirigente dall'altro, che disperde nel disordine morale i sacrifici e i meriti acquisiti.

Più che casi individuali, i personaggi del romanzo interpretano i diversi aspetti della complessa situazione storica che stanno vivendo.

Così il principe don Ippolito di Colimbetra, fedele suddito borbonico; don Flaminio Salvo, esponente della nuova borghesia capitalista; Roberto Auriti, glorioso garibaldino che si spegne in un'esistenza amorfa; il giovane principe Gerlando di Colimbetra, sostenitore delle nuove idee e per questo costretto all'esilio.

I personaggi rappresentano un contrasto di concezioni e di ideali che si risolve nel contrasto tra due generazioni: quella che ha fatto l'Unità e che vede perduta l'eredità del Risorgimento, e quella più giovane, che nel gretto conservatorismo dei padri scorge solo la difesa di interessi reazionari.

Ne I vecchi e i giovani l'autore esprime un giudizio storico molto severo sul processo di riunificazione dell'Italia e dello stato nato da essa. Non a caso Carlo Salinari, analizzando questo romanzo, parla di tre “fallimenti collettivi” riferendosi al Risorgimento, come mancato moto generale di rinnovamento dell'Italia; all'unità, come fallito strumento di liberazione e di sviluppo delle zone più arretrate e in particolare della Sicilia e dell'Italia meridionale; e al socialismo, che avrebbe potuto essere la ripresa del movimento risorgimentale. Questi fallimenti si sovrappongono poi a quelli “individuali” «dei vecchi che non hanno saputo passare dagli ideali alla realtà e si trovano a essere responsabili degli scandali, della corruzione e del malgoverno dei giovani».[1]

Nell'ultimo capitolo della seconda parte del romanzo, don Cosmo, il fratello intellettuale di Ippolito, fornisce la chiave di lettura degli avvenimenti e il punto di vista di Pirandello, nel corso della conversazione con Gerlando:

«Una cosa è triste, cari miei: aver capito il gioco! Dico il gioco di questo demoniaccio beffardo che ciascuno di noi ha dentro e che si spassa a rappresentarci di fuori, come realtà, ciò che poco dopo egli stesso ci scopre come una nostra illusione, deridendoci degli affanni che per essa ci siamo dati, e deridendoci anche, come avviene a me, del non averci saputo illudere, poiché fuori di queste illusioni non c'è più altra realtà...»


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Note


  1. Carlo Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano : D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro e Pirandello, Feltrinelli, 1993 [1960], ISBN 978-88-07-10067-3, OCLC 1138614863. URL consultato il 16 giugno 2021.

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