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Una stanza tutta per sé (A Room of One's Own) è un saggio dell'autrice britannica Virginia Woolf. Fu pubblicato per la prima volta il 24 ottobre 1929[1] e si basa su due conferenze tenute a Newnham e Girton, college femminili dell'Università di Cambridge, nel 1928.[2]

«Intellectual freedom depends upon material things. Poetry depends upon intellectual freedom.»

Una stanza tutta per sé
Titolo originaleA Room of One's Own
AutoreVirginia Woolf
1ª ed. originale1929
1ª ed. italiana1963
Generesaggio
Lingua originaleinglese

Contenuti


Il saggio ripercorre la storia letteraria della donna. In senso pratico il fine ultimo della tesi di Virginia Woolf è quello di rivendicare, per il genere femminile, la possibilità di essere ammesse ad una cultura che fino a quel momento si era rivelata di esclusivo appannaggio maschile, in una società, nella fattispecie quella inglese, di stampo profondamente maschilista. Ma l'intento più interessante del saggio che, com'era caratteristica di Virginia Woolf, nasconde diverse sfumature, si rivela essere proprio quello di decostruire questo linguaggio patriarcale in ambito letterario e sociale. Se secoli di sudditanza hanno relegato la figura femminile al silenzio, escludendola dalle sale della cultura, diviene allora necessario dare spazio ad una voce che rappresenti la prospettiva femminile.

Il testo, che si rivela particolarmente intricato, rivela ad ogni rilettura un'interpretazione nuova. Il tentativo, però, di partire da questo punto per dare una linea definita al pensiero femminile, è stata opera nella seconda ondata del movimento femminista, negli anni Sessanta e Settanta. Studiose come Jane Marcus, o Elaine Showalter, hanno evidenziato la rivoluzione di affermazioni dell'autrice, per cui "we think back through our mothers if we are women". Sottolineando come quest'idea sia rappresentativa del peso che il linguaggio maschile ha avuto sul ruolo sociale della donna, definendone – nei secoli – le peculiarità, le colpe, il carattere, pesando quindi anche gravemente sul modo in cui le donne si sono rapportate a se stesse.

Se lo scenario del saggio-romanzo di Virginia Woolf è quello universitario (la protagonista, anonima, parla durante una giornata nel fittizio college di Oxbridge), questo non è casuale. È proprio partendo dal luogo principe dell'esclusione femminile, che Woolf decide di smantellare una cultura d'élite, ridicolizzandone i difetti. Fin dal principio afferma, infatti, la sua intenzione di distaccarsi dal linguaggio patriarcale, e lo rende chiaro assumendo un'altra posizione radicale: non sarà, come richiede ogni buona lezione di Professori Accademici, una pura verità quella che fornirà al lettore, ma "an opinion upon a minor point: a woman must have money and a room of her own, if she is to write fiction".

Il fatto stesso che decida di fornire un'opinione è rivoluzionario, poiché l'opinione presuppone una discussione, un dubbio e una riflessione. Fornendoci un'opinione, è come se quindi Virginia Woolf avesse deciso di restaurare il significato stesso della parola "lezione". L'anonimato è un altro punto che mira ad avvicinarla a quel pubblico femminile a cui si stringe come in una conversazione confidenziale. Non è Virginia che parla, "call me Mary Beton, Mary Seton or Mary Carmaichael", dirà, spogliandosi della sua identità per assumere quella della donna con la D maiuscola, quella che ha vissuto nel silenzio per secoli. Woolf afferma inoltre, "there is no mark on the wall to measure the height of women in history", sottolineando come la mancanza di cultura e vita sociale, abbiano reso la donna invisibile nella storia. Non c'è un muro su cui misurarne le gesta, poiché nessun gesto è mai stato compiuto. In questo senso, Virginia Woolf sembra avvertire queste mancanze come una colpa in parte da attribuire alle donne stesse. Vi è infatti più di un riferimento all'impossibilità delle donne di riuscire ad ottenere un posto nella società, perché troppo impegnate ad occuparsi di bambini e attività domestiche. Nessuna delle grandi scrittrici aveva figli, sottolinea.

Questo argomento, particolarmente controverso, viene ripreso in una sezione particolare, in cui Woolf inventa un personaggio fittizio, quello di Judith "la sorella di Shakespeare". La figura di un'ipotetica sorella del più grande scrittore esistito, anche lei desiderosa di divenire scrittrice, ma sbeffeggiata da tutti, serve per illustrare le mancanze, le negazioni, a cui il mondo femminile va inevitabilmente incontro. La strada di Judith si divide in una pericolosa biforcazione: essere una scrittrice, e venire indicata come folle; o arrendersi al volere del padre e trovare marito. La sua storia si concluderà con una gravidanza forzata e il suicidio. Ancora qui ritorna l'idea di una punizione inflitta all'arrendevolezza al ruolo di madre.

Ma Woolf non si sofferma solo su questo. Il merito storicamente più riconosciuto all'opera, è il tentativo di riordinare la storia delle scrittrici, partendo da Aphra Behn, per arrivare a Jane Austen,e le sorelle Brontë e finire con George Eliot. Queste ultime, in particolare, vengono criticate per aver lasciato che la rabbia dovuta all'esclusione dal mondo attivo, traspaia dalla loro letteratura, errore che non commette ad esempio Jane Austen. La rabbia è un altro elemento fondamentale del saggio, e Woolf la attribuisce all'incapacità della donna di riuscire a liberarsi dal peso della "men's sentence". Nel viaggio in cui ci conduce, attraverso il silenzio delle stanze domestiche che non vengono illuminate dalla scrittura, dalla mancanza di soldi che permetterebbe al mondo femminile di ottenere una libertà intellettuale, Virginia Woolf arriva alla conclusione che l'unica frase che vesta adeguatamente il libro sia androgina.

La mente androgina, che si libera dal peso della costruzione psicologica maschile e femminile, permette di vedere le cose obiettivamente.[3] In realtà questa idea viene oggi contestata dal femminismo, poiché appare come un compromesso con il lettore maschile, che all'inizio del saggio viene completamente escluso. Ancora, secondo altri sarebbe una dichiarazione di bisessualità, un compromesso tra la sua eterosessualità e l'amore lesbico che l'autrice avrebbe provato per Vita Sackville-West. Di fatto ancora oggi il testo è oggetto di critica in campo letterario, politico e sociale, essendo il primo saggio moderno della letteratura femminista. L'autrice si riferisce sottilmente a molti dei più importanti intellettuali del tempo.

Il titolo deriva dalla concezione di Virginia Woolf che, "una donna deve avere soldi e una stanza tutta per sé per poter scrivere". Si fa anche riferimento alla necessità di una licenza poetica e alla libertà personale per creare arte, da parte di qualsiasi autore o artista.


Edizioni inglesi



Traduzioni italiane



Note


  1. Chiara D'Alessandro, Le donne e il romanzo: una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, su Lo Sbuffo, 3 aprile 2022. URL consultato il 12 novembre 2022.
  2. Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, prefazione di Marisa Bulgheroni, Feltrinelli Editore, 5 giugno 2013, ISBN 978-88-588-0189-5. URL consultato il 7 luglio 2020.
  3. Nancy Topping Bazin, Virginia Woolf and the androgynous vision, Rutgers University Press, 1973, ISBN 978-0-8135-0735-4. URL consultato il 18 agosto 2021.

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[de] Ein Zimmer für sich allein

Ein Zimmer für sich allein oder Ein eigenes Zimmer (im Original: A Room of One’s Own) ist ein 1929 erschienener Essay der britischen Schriftstellerin Virginia Woolf (1882–1941), der bereits zu ihren Lebzeiten große Anerkennung erhielt und heute zu den meistrezipierten Texten der Frauenbewegung gehört. Der Aufsatz vereint Thesen zum Feminismus und zur Geschlechterdifferenz mit solchen zur Literaturgeschichte und zur Poetik. In deutscher Übersetzung wurde er unter dem Titel Ein Zimmer für sich allein erstmals im Jahr 1978, übersetzt von Renate Gerhardt, veröffentlicht.[1] 2001 erschien Ein eigenes Zimmer in der Übersetzung von Heidi Zerning,[2] und 2012 kam Ein Zimmer für sich allein, ins Deutsche übertragen von Axel Monte, heraus.[3] Zwei weitere Neuübersetzungen erschienen 2019 beim Kampa Verlag in der Übersetzung von Antje Rávik Strubel,[4] und 2020 beim Anaconda Verlag in der Übersetzung von Christel Kröning.[5]
- [it] Una stanza tutta per sé



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