Carlo de' Pazzi, detto Carlino per distinguerlo dal padre Carlone (... – ...), fu un membro della famiglia dei Pazzi di Valdarno.
«E perché non mi metti in più sermoni, sappi ch'i' fu' il Camiscion de' Pazzi; e aspetto Carlin che mi scagioni» |
(Inferno XXXII 67-69) |
Fu un Cavaliere Aureo della fazione dei guelfi bianchi. Dopo la cacciata del suo partito (1302) tenne il castello di Piantravigne, vicino a Pian di Scò, per i fuorusciti fiorentini, ma lo vendette ai guelfi neri che lo assediavano, tradendo i suoi compatrioti, e ottenendo il permesso di rientrare in città, come raccontano Giovanni Villani e Dino Compagni.
Per questa sua azione Dante Alighieri lo destina all'Inferno nella Divina Commedia, al nono cerchio, quello più profondo, destinato ai traditori. E sebbene all'epoca del viaggio ultraterreno del poeta fiorentino Carlino fosse ancora vivo (morì solo nel 1348), è attraverso le parole di un suo lontano congiunto, Camicione de' Pazzi, dei Pazzi di Valdarno, che veniamo a sapere del suo peccato. Secondo Camicione infatti il tradimento di Carlino è ben peggiore del suo (secondo Dante infatti il tradire la patria era più grave del tradimento di un congiunto, qual era il peccato di Camicione), e quando anche Carlino arriverà nell'Antenora il peccato di Camicione sembrerà meno grave.
«[I Bianchi] aveano in Valdarno un castello in Pian di Sco, nel quale era Carlino de' Pazi con LX cavalli e pedoni assai. I Neri di Firenze vi posono l'assedio. Dissesi che Carlino li tradì per denari ebbe; il perché i Neri vi misono le masnade loro, e presono gli uomini, e parte n'uccisono, e il resto feciono ricomperare.» |
(Dino Compagni, Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi, Libro II, 29) |
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