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Marcantonio Epicuro (Abruzzo, 1472Napoli, 1555) è stato un poeta e commediografo italiano, ricordato come autore di eleganti epigrammi in lingua latina, rari versi in volgare e soprattutto di due drammi pastorali.


Biografia


Non sono noti con certezza molti dati biografici riguardanti questo letterato. Le biografie secentesche del Capaccio[1] e dell'Ammirato[2] sono state spesso fraintese: per molto tempo si è pensato che "Epicuro" fosse uno pseudonimo, che il cognome di famiglia fosse "Marsi"[3] o "Caracciolo"[4], e talora è stato identificato con Pietro Antonio Caracciolo[5] o con Notturno Napoletano. È ormai ammesso che "Epicuro" è il suo vero cognome, e che egli si disse «dei Marsi» alludendo alla terra natale, la Marsica[6].

Non si conosce nulla dell'infanzia e della giovinezza di Marcantonio Epicuro. Erasmo Percopo ipotizza che sia stato allievo di Pietro Gravina (1452–1526), «uno dei più dotti ed eleganti scrittori di epigrammi latini dell'Accademia Pontaniana»[7]. Le più antiche notizie su di lui risalgono al 1520, quando risiedeva già a Napoli e aveva 48 anni di età: una lettera nella quale offriva i propri servizi al marchese di Mantova Federico II Gonzaga; rimase tuttavia a Napoli verosimilmente perché in città aveva trovato nuovi lavori come insegnante[6]. Divenne inoltre membro dell'Accademia Pontaniana, quando era diretta da Pietro Summonte e da Scipione Capece; come accademico ebbe in seguito contatti con Vittoria Colonna e Paolo Giovio. Nel 1525 fu stampata a Venezia da Niccolò Garanta il testo teatrale del Dialogo di tre ciechi rappresentato peraltro forse già nel 1523[6]. A partire dall'edizione del 1530 al Dialogo venne aggiunta una parte detta "Luminaria", e il dramma pastorale assunse la forma definitiva e il titolo (La Cecaria) con cui è conosciuto. L'opera, caratterizzata da eleganza e da toni sentimentali, ebbe molto successo e si contarono ben venticinque edizioni a stampa prima della fine del XVI secolo[8]. La Cecaria fu imitata dal Tansillo, che ne trasse spunti per l'egloga I due pellegrini[6], e da Giordano Bruno negli Eroici Furori[8].

Nel 1528 Epicuro ottenne due incarichi, uno pubblico e uno privato, che gli procurarono agiatezza e che sono testimonianza della stima di cui godeva a Napoli: ebbe l'ufficio di "maestro portulano" (ossia, capo delle dogane) nella provincia di Terra di Lavoro e Contado di Molise e divenne precettore in casa dei Rota. Ottenne l'incarico pubblico grazie all'interessamento del marchese del Vasto. I giovani allievi Berardino e Alfonso Rota mantennero sempre con l'Epicuro dei rapporti di amicizia[6].

Marcantonio Epicuro ebbe in vita grande fama come creatore di «imprese»[9], secondo il gusto decorativo ed emblematico dell'avanzata età rinascimentale. L'abilità dell'Epicuro è ricordata spesso dall'Ammirato nel dialogo Il Rota dedicato per l'appunto alle imprese[10].

Nel 1536, all'età di sessantaquattro anni, Marcantonio Epicuro sposò Giulia de Dato; dal matrimonio nacquero tre figlie (Delia, Laura e Camilla), e un figlio maschio (Scipione) nato intorno al 1540[11]. Nel 1538 lasciò l'ufficio di maestro portulano ad Alfonso Rota. Nel 1546 fu tra i promotori delle riunioni dell'Accademia dei Sereni e in questi anni forse scrisse un secondo dramma pastorale, la Mirzia[6]. Nel 1555 morì il figlio Scipione adolescente e, secondo l'Ammirato, Marcantonio Epicuro ultraottantenne morì poco dopo di dolore[12]. Fu seppellito nella Chiesa di Santa Chiara in una tomba su cui fu posto un epitaffio in latino del suo ex allievo Berardino Rota[13].


Opere


Le opere dell'Epicuro sono state pubblicate a cura di Italo Palmarini alla fine del XIX secolo[3] e a cura di Alfredo Parente da Laterza nel 1942[15].


Note


  1. G.C. Capaccio, 1608, pp. 288-89.
  2. S. Ammirato, 1637, pp. 260-61.
  3. Opere a cura di I. Palmarini.
  4. Dialogo di tre ciechi, Venezia, Niccolò Garanta, 1528, Google libri. Si osservi che l'autore è chiamato "M. Epicuro Characciolo".
  5. F. Sansovino, 1561.
  6. S. Foà, DBI, 1993.
  7. E. Pèrcopo, 1888, pp. 30-32.
  8. E. Bonora, 1966, pp. 628-29.
  9. «Imprésa», in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 25 marzo 2022.
    «Rappresentazione simbolica d’un proposito, d'una linea di condotta (ciò che si vuole «imprendere», intraprendere) per mezzo di un motto e di una figura che vicendevolmente s'interpretano»
  10. Scipione Ammirato, Il Rota ouero dell'imprese dialogo del S. Scipione Ammirato nel quale si ragiona di molte imprese di diuersi eccellenti autori, & di alcune regole & auertimenti intorno questa materia, Napoli, Gio. Maria Scotto, 1562. URL consultato il 25 marzo 2022.
  11. E. Pèrcopo, 1888, pp. 24-26.
  12. S. Ammirato, 1637, p. 261.
  13. E. Pèrcopo, 1888, p. 28.
  14. Mirzia, e-text.
  15. Opere a cura di A. Parente.

Bibliografia



Opere



Fonti critiche



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