Meneghino (in dialetto milanese Meneghin, Menichino, dim. del nome di persona Domenico - Menico) è un personaggio del teatro milanese, ideato da Carlo Maria Maggi e divenuto in seguito maschera della commedia dell'arte. Prendendo il posto di Beltrame, è divenuto il simbolo popolaresco della città di Milano,[1] tanto che il termine meneghino è normalmente utilizzato per identificare i cittadini milanesi[2] e come aggettivo indica ciò che è più caratteristico della città e dei suoi abitanti.[3]
Meneghino | |
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Autore | Carlo Maria Maggi |
1ª app. | 1695 |
1ª app. in | Il manco male |
Sesso | Maschio |
Luogo di nascita | Milano |
Professione | servitore |
Il personaggio di Meneghino fu in origine quello del servo spiritoso derivato dalla figura di Zanni, ma caratterizzato soprattutto da onestà, sincerità (simboleggiata anche dal fatto che, a differenza di molti personaggi della commedia dell'arte, egli non indossa una maschera) e un forte senso di giustizia. Nel corso dei secoli, Meneghino ha assunto diversi ruoli sul palcoscenico, tra cui quello del padrone, del contadino e del mercante.
Accompagnato dalla moglie Cecca nelle sfilate del Carnevale ambrosiano, Meneghino indossa di solito un cappello a tre punte sopra una parrucca nera col codino, una lunga giacca con un gilet fiorito giallo o altrimenti colorato sopra una camicia bianca, pantaloni corti al ginocchio e verdi, calze a righe bianche e rosse, e infine scarpe nere con fibbie.
Contrariamente alle altre maschere della commedia dell'arte, nate da caratterizzazioni dovute a singoli attori, Meneghino si formò alla fine del XVII secolo all'interno di commedie scritte da Carlo Maria Maggi[4] senza alcuna possibilità di improvvisazione da parte degli interpreti.[5]
Fu incluso in quattro commedie scritte da Maggi in dialetto milanese: ne Il manco male (1695) compare solo nel prologo e in alcune scene slegate dall'azione principale;[6] ne Il Barone di Birbanza (1696) è il servo sciocco di Polidoro, figlio di Polisema, ricca vedova, che vorrebbe il matrimonio di Polidoro con la Baronina, figlia del Barone di Birbanza, nobile in realtà spiantato;[7] ne I consigli di Meneghino (1697) ha la parte del servo di Fabio e gli fornisce consigli su come sottrarsi a un matrimonio deciso dal padre;[8] nella commedia Il falso filosofo (1698) ha una parte notevole come servo di Pomponio, vecchio ricco e malato, raggirato da Cleante, filosofo forestiero.[9] Maggi scrisse anche Il Concorso de' Meneghini (1698-1699), incentrato sulla Abbazia dei poeti "meneghini",[10] e alcuni intermezzi teatrali incentrati su Meneghino.[11]
Grazie al successo di queste commedie, il personaggio, senza maschera e senza trucco, sostituì nelle rappresentazioni Beltrame da Gaggiano (Baltramm de Gagian), figura più rozza[12] che rappresentava «un contadino goffo e incapace, che non sa mai trarsi d'impaccio».[13]
«Meneghino è un servitore ammogliato, carico di figli, affezionatissimo a' suoi padroni, virtuosamente ridicolo, onestamente codardo, operante ognora con una comica circospezione, e sempre ingannato dal primo furbo in cui si abbatte. Sul teatro Meneghino è il zimbello di tutti gli intrighi: e spande, per modo di dire, la sua dabbenaggine, la sua stupidezza sopra tutti gl'interlocutori. Fuori del teatro poi egli è ancora il protagonista di tutte le poesie locali; e sotto il nome di lui passano quasi sempre i racconti, le canzoni e le satire.» |
(Giuseppe Ferrari[14]) |
Secondo alcune ipotesi il Maggi lo avrebbe derivato da Menghino, personaggio secondario de La Lena (1528) di Ludovico Ariosto oppure da Menego, contadino del Dialogo facetissimo (1528) del Ruzante; le caratteristiche di Meneghino sono però nettamente diverse.[5][15] Altra ipotesi, ritenuta però non attendibile,[16] è la derivazione dall'opera Menecmi di Plauto, che tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI secolo si trova tradotta in volgare come I Menechini anche in ambito milanese.[17]
Rivolgendosi al giudice ne Il falso filosofo (1698), si presenta come Meneghino Babbeo, figlio di Marchionne detto il Gengiva.
(milanese)
«E mì interrogatus ghe responditt. |
(IT)
«E io interrogatus[18] risposi: |
(Il falso filosofo, atto III, scena XIV[22]) |
Il nome Meneghino è diminutivo di Domenico (in milanese Domenegh o Menegh) come mostra il modo di rivolgersi a lui già nella prima commedia di Maggi.
«Bondì messer Domenico; Che fate?» |
(Pandora a Meneghino in Il manco male (1695), atto III, scena XII[23]) |
Secondo alcuni sarebbe da considerare come aggettivo sostantivato derivato dal latino dominicus con il significato di padronale, dominicale; ciò sarebbe dovuto all'uso diffuso tra il XVI secolo e il XVIII secolo da parte di alcuni "mezzi-signori" di avere un servitore solo per le domeniche o per particolari occasioni.[24]
All'inizio del Settecento dopo la morte del Maggi e con i cambiamenti dovuti alla nuova amministrazione austriaca, il personaggio sembrò sparire progressivamente.[25] Domenico Balestrieri si indicò come Meneghin Balestreri in Lagrime in morte di un gatto (1741) e nelle sue Rimm Milaness (1744).[26]
La notorietà di Meneghino tra i letterati alla metà del Settecento traspare da una disputa sull'uso del dialetto milanese in cui fu coinvolto lo stesso Balestrieri. L'8 settembre 1759 il padre Paolo Onofrio Branda pubblicò a Milano un dialogo Della lingua toscana in cui esaltava il toscano rispetto agli altri dialetti e in particolare il milanese. Diversi scrittori si ritennero offesi e in pochi mesi furono pubblicati ben 64 stampati a favore o contro le affermazioni del Branda;[27] a seguito della degenerazione della contesa ci fu l'intervento del governo con il sequestro di alcune pubblicazioni e il divieto di ulteriori stampe.[28] Alcuni di questi testi furono pubblicati in milanese da Balestrieri, da Carlo Antonio Oltolina e da altri autori non identificati che utilizzarono pseudonimi con il nome "Meneghin" (Meneghin Gambus, Meneghin Boltriga, Meneghin Sgraffigna, Meneghin Tandoeuggia).[29]
Nei testi di replica Balestrieri riprese la «Badia di meneghitt» da Il Concorso de' Meneghini del Maggi, inserendovi il nuovo personaggio Sganzerlon,[30] come caricatura del Branda.[31] Egli in più punti indicò il milanese come lenguagg de Meneghin[32] o lengua meneghina.[33] Giuseppe Parini scrisse inoltre un sonetto, In morte di Domenico Balestrieri (1780), indicandolo come Meneghino e lodandone l'aver saputo fare sapiente uso del dialetto milanese.[34]
Pur essendo utilizzato anche da altri autori, fu Carlo Porta a rivitalizzare il personaggio di Meneghino, tanto da poter essere considerato come un secondo creatore.[35] La sua prima pubblicazione fu El lava piatt del Meneghin ch' è mort (1792), in cui si presentava come il lavapiatti del defunto Meneghino, con riferimento al Balestrieri.[36] Successivamente scrisse Meneghin biroeu di ex monegh,[37] Brindes de Meneghin all'ostaria[38] e Meneghin Tandoeuggia a don Rocch Tajana.[39] Anche le caratteristiche di Giovannin Bongee con le sue disgrazie[40] e di Marchionn con il suo lamento[41] sono assimilate a quelle di Meneghino (Marchionn era anche il nome del padre secondo il Maggi).[42]
I cambiamenti della società portarono però a diversità tra Maggi e Porta nel modo di porsi nei confronti della nobiltà: il primo, pur nella derisione di alcuni aspetti, aveva dei riguardi verso le figure nobili come donna Quinzia, il secondo invece «è senza pietà».[43] Porta inoltre attribuì al personaggio un linguaggio brillante e un'arguzia ricca di amarezza.[35]
Carlo Porta fu anche marginalmente coinvolto in una delle rappresentazioni teatrali con Meneghino. Nel 1818 Angelo Petracchi tradusse dal francese la commedia I capi sventati di François Andrieux;[44] volendo inserire però la maschera milanese al posto del servitore Deschamps, chiese al Porta di rivedere la traduzione in dialetto delle battute.[45][46] La commedia fu rappresentata al Teatro alla Scala il 26 luglio 1818 come Il supposto morto, con Meneghino servo spiritoso in Parigi[47] e la parte del servitore venne interpretata da Gaetano Piomarta,[45] ma lo spettacolo non ebbe successo.[46]
All'inizio dell'Ottocento il personaggio a teatro era noto come Meneghin Pecenna, Meneghino Pettina cioè parrucchiere, affiancato dalla moglie Cecca di Birlinghitt, che rappresentava il prototipo della donna tutta fronzoli e cerimonie (Cecca è diminutivo dialettale di Francesca, mentre i berlinghitt erano nastri e ornamenti di scarso valore utilizzati nell'abbigliamento femminile).[48][49][50]
Prima ebbe notevole successo l'interpretazione di Gaetano Piomarta,[51] poi ci fu la trasformazione realizzata da Giuseppe Moncalvo (1781-1859) che creò una vera maschera della commedia dell'arte. Il Moncalvo inserì il Meneghino in ogni tipo di commedia, diede vita a improvvisazioni su temi del giorno, dando al personaggio una connotazione patriottica in particolare nel 1848.[52][53]
«Moncalvo identificò sé stesso in Meneghino, gli diede il suo cuore, la sua pronta e sagace percezione, l'arguzia mordente, lo spirito di ribellione, l'inclinazione alla satira, la tendenza erotica e l'odio indomabile contro tutti gli stranieri in genere, contro gli Austriaci dominatori in ispecie.[54]» |
Dopo il Moncalvo ne fu interprete Luigi Preda, seguito da pochi altri; il personaggio scomparve progressivamente dalle scene teatrali e rimase solo nel teatro delle marionette e dei burattini.[35] Ad oggi infatti la Maschera di Meneghino esiste a Milano soltanto con i Burattini Aldrighi, unica compagnia a portare avanti la tradizione, iniziata nei due secoli precedenti, dal Lampugnani, Minutoli e Tenca.
«Così col mutare dei tempi e col mutare degli eventi, anche il tipo di Meneghino si modifica e trasforma: il servitore burlone vive ormai col suo secolo XIX, sente la voce della patria, e quando le campane del quarantotto suoneranno a stormo, egli sarà il combattente delle barricate; caduta la maschera grottesca, sarà l'uomo moderno, il pensatore e il martire. [...] Il Meneghino del Maggi, il Meneghino del Porta sono ormai tramontati, e noi li ammiriamo solo come splendide reliquie di un passato che più non torna. Anche Meneghino continuerà la sua evoluzione e si trasformerà: non più simbolo dell'antico ambrosiano, ma personificazione di questa nostra meravigliosa città, che fatta dalla posizione geografica non meno che dalla propria attività emporio internazionale di industrie e di traffici, si trasforma e si rinnovella al potente soffio della vita nuova.[55]» |
Nel carnevale ambrosiano è accompagnato dalla moglie Cecca; nella seconda metà dell'Ottocento insieme erano a capo del corteo che dava inizio alla festa.[56]
«Verso la mezzanotte di domani, mercoledì 6 marzo, il teatro Dal Verme spalancherà i suoi battenti alle moltitudini che accorreranno al veglione dato in concorso all'Associazione del Carnevalone Ambrosiano. Vi interverranno solennemente Meneghino e Cecca. I preparativi sono splendidi. Il corteggio di Meneghino e Cecca percorrerà trionfalmente le vie della città dal Teatro Milanese sino al Teatro Dal Verme.» |
(Carnevale 1878[56]) |
I due personaggi inauguravano anche la Fiera di Porta Genova per il carnevale e nel 1890 fu creata una "casa di Meneghino" come punto di partenza del corteo.[57]
Successivamente la mascherata di Meneghino e Cecca fu promossa dall'associazione Famiglia Meneghina, fondata nel 1924; dopo la Seconda guerra mondiale la tradizione fu riproposta dal Circolo Ambrosiano Meneghin e Cecca dal 1948.[58] A partire dalla metà degli anni Cinquanta venne instaurata l'usanza di una visita del Re e della Regina del Carnevale alle autorità cittadine e in particolare al sindaco, in alcuni casi con la consegna simbolica delle chiavi della città;[59][60][61] dal 2018 quest'usanza è stata eliminata.[62]
Agli inizi del Novecento Luigi Rasi descrisse il costume come simile a quello della maschera piemontese Gianduja, basato su quello dei paesani dei primi del Settecento. Meneghino non porta una maschera; in testa ha un parrucchino scuro con codino e il cappello nero di feltro, orlato di rosso, a tre punte. Indossa una giacca di color verde scuro, inquartata, con fodera, orlatura e bottoni rossi; il panciotto è a fiori, anch'esso orlato in rosso. Porta calzoni corti scuri; ha calze a righe rosse e scarpe basse nere con fibbia.[63] Altra versione, meno nota, comprende una veste di tessuto bianco a maglia, lunghe calze verdi, una cintura e scarponi di cuoio.[64][65]
Nel 2006 il nuovo modello di elettrotreno della metropolitana di Milano fu chiamato Meneghino;[66] l'acronimo MNG (Metropolitana di Nuova Generazione) fu infatti adattato come MeNeGhino a formare il nome del personaggio milanese.[67]
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