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Porcelio Pandone, detto il Porcellio (Napoli, ante 1409Roma, post 1485), è stato un umanista e scrittore italiano.


Biografia


Le prime notizie che si hanno su Porcelio Pandone, o de' Pandoni, lo vedono insegnante nello Studium (cioè nell'Università) di Roma[1]. Nel 1434 ebbe parte nella sollevazione che cacciò papa Eugenio IV da Roma e partecipò ad una missione diplomatica al Concilio di Basilea ma, restaurato dopo breve il dominio pontificio, fu incarcerato per un periodo imprecisato, dai tre ai dieci anni.

Alla sua liberazione prese a vagare di corte in corte, scrivendo poemetti adulatori in latino ed opere storiche per ingraziarsi i vari signori italiani: fu a Napoli, dove ebbe incarichi diplomatici e nel 1452 fu anche laureato poeta dall'imperatore Federico III, poi a Rimini (1456), a Milano (1456-1459), poi ancora a Napoli, e infine esercitò di nuovo l'insegnamento all'Università la Sapienza a Roma: in questa città morì dopo il 1485.


L'accusa di sodomia


Nonostante fosse sposato ed avesse almeno un figlio, il Porcellio ebbe per tutta la vita fama allora infamante di sodomita. La testimonianza più clamorosa di tale fama è postuma: essa si trova infatti contenuta all'interno della novella (I, 6) che Matteo Bandello pubblicò nel 1554, ma che è ambientata nel periodo in cui Porcellio viveva a Milano presso il duca Francesco Sforza. Si tratta, naturalmente, di un'accusa non dimostrabile, dal momento che all'epoca era abitudine tacciare di omosessualità gli avversari e i rivali politici.

Nel racconto Porcellio si ammoglia in tarda età spinto dalle insistenze del duca, che vuole distoglierlo dai ragazzi. Un giorno s'ammala, e la moglie credendolo (a torto) in punto di morte, chiama un confessore. Quando il frate esce, ella verifica se il marito abbia confessato il peccato di sodomia, cosa che non ha fatto. Per due volte il frate, nonostante i dubbi, torna a chiedergli se abbia peccato contro natura, ottenendo un diniego. Alla fine, dato che la moglie insiste, il frate chiede direttamente:

«"Oimè, figliuolo, io non so quello che di te mi dica. Tu mi neghi d'aver peccato contro natura (...) e nondimeno sono io assicurato che tu sei più vago [appassionato] mille volte dei fanciulli che non è capra del sale". Allora il Porcellio con alta voce più che puotè e crollando il capo disse: "Oh, oh, padre reverendo, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i fanciulli a mel più naturale che non è il mangiare e il ber a l'uomo, e voi mi domandavate se io peccava contro natura. Andate, andate, messere, ché voi non sapete che cosa sia un buon boccone". Il santo frate, tutto a questa diabolica voce stordito, si strinse ne le spalle. (...) Il Porcellio prese miglioramento e sanò del male, e la cosa si divolgò in corte e per Milano, di maniera che da tutti essendo mostrato a dito, fu astretto non uscir più di casa, e creder si può che come era vissuto da bestia si morisse da bestione. E insomma si può dire che il lupo muta il pelo, ma non cangia vizio"[2]

Accanto a questa testimonianza postuma, esistono anche testimonianze contemporanee della fama del Porcellio: per esempio il poeta Francesco Filelfo, che aveva ospitato a Milano Porcellio assieme al figlio e a due ragazzi con cui viaggiava, dopo aver litigato con lui gli scagliò contro nel suo De jocis et seriis (1458-1465) una serie di velenosi epigrammi latini chiamandolo "Porcellus Porcellius" ed accusandolo di sodomia qui e, secondo Rosmini, anche in un'epistola latina[3].

Così nell'"Eulogium in Porcellium Porcellum Grammaticum", che è un finto epitaffio, Filelfo dice fra l'altro:

«Il Porcello Porcellio noto per ogni vizio è ora cenere in questo luogo. Infatti essendo un sodomita unico, il suo destino era essere arso in vita o, povero lui!, dopo la morte: così gli dèi hanno decretato»

(Francesco Filelfo, De jociis et seriis[4])

E in un'altra composizione il Filelfo afferma che la fama di sodomita del Pandoni è tale che è diffusa in tutta la Lombardia, e questo a dispetto della sua tarda età. Questa nomea è confermata da uno studente, tale "Pierangelo siciliano", che scrisse fra il 1470 ed il 1480 lamentandosi della scelleratezza degli studenti romani (che fra le altre colpe avevano anche, a suo dire, la pratica dell'omosessualità). Costui lamenta che gli studenti disegnassero falli scrivendo oscenità sul retro della sedia del docente, fra le quali la frase in latino:

«Porcellio, tu altissimo vate,
questi membri lussuriosi sono qui per il tuo culo.»

([5])

Quanto agli scritti del Pandoni, fra le sue poesie latine se ne legge una[6] per un "Petruccio", che fugge il poeta, e rifiuta le sue poesie d'amore. Eppure, argomenta Porcellio, la poesia fu amata da Apollo, da Ganimede, da Ila, dalle Muse, da Giove; dunque, conclude, se vuoi essere annoverato fra i dotti ama anche tu la poesia (sottinteso: "e le mie avances"). L'allusione a Ganimede (amato da Giove) ed Ila (amato da Ercole) rivela qui esplicitamente, infine, l'interesse omoerotico dell'autore di questi versi.


Verso una rivalutazione del Pandoni


In epoca più recente la critica ha approfondito la figura di Porcelio de' Pandoni, osservando come il poeta abbia rivestito un ruolo importante nella vita e nel dibattito culturale della sua epoca[7]. Il Pandoni fu certamente "un umanista controverso e polemico", ma anche un "testimone privilegiato della vita e della cultura del suo secolo"[8]. Egli, infatti, partecipò a dispute e polemiche e ricevette riconoscimenti e onori. Inoltre tenne incarichi di un certo rilievo nelle varie corti e città in cui visse.[9]. Le sue opere, pur essendo per la maggior parte di tipo storico-encomiastico, si presentano variegate sotto il profilo contenutistico (numismatica, storia dell'arte) e aperte alla sperimentazione di forme e di generi (elegie, epigrammi, odi e satire).


Opere


[Questa voce nasce come sintesi da G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in «Dizionario Biografico degli Italiani», 80, Roma 2014, 736-740, e A. Iacono, Porcelio de'Pandoni: l'umanista e i suoi mecenati. Momenti di storia e di poesia, Paolo Loffredo - Iniziative editoriali, Napoli 2017, pp. 43-57]


Note


  1. G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in «Dizionario Biografico degli Italiani», 80, Roma 2014, 736-740: «Quanto al nome di battesimo, così lo si ritrova nell’intestazione di molteplici sue opere (compaiono anche le forme Porcellus, Porcellius). Qualche biografo ha pensato che si trattasse di un soprannome indicante la sua omosessualità, dato che però non presenta alcun appoggio documentario. In realtà, si tratta di un nome non infrequente all’epoca in area centromeridionale. Il nome Giannantonio gli fu attribuito senza fondamento da Georg Voigt»
  2. Matteo Bandello, Le novelle, Utet, Torino 1974, parte I, novella 6.
  3. Carlo de' Rosmini, Vita di Francesco Filelfo da Tolentino, Mussi, Milano 1808, vol. III, pp. 161-163. Altri cenni alla sodomia del Porcellio alle pp. 32-34 e 44. L'allusione all'epistola latina è a p. 204.
  4. citato in: Carlo de' Rosmini, op. cit., vol. 3 (appendice), pp. 161-163, documento n. XIII.
  5. Edita nel "Giornale storico della letteratura italiana", II 1883, pp. 139-140.
  6. Giannantonio de' Pandoni, detto "il Porcellio", "In Petrutium adolescentem ut operam versibus daret", in: Carmina illustrium poetarum italorum, Tartini e Franchi, Florentiae 1719-1726, 11 voll., vol. 7, p. 506.
  7. A. Iacono, Porcelio de' Pandoni: l'umanista e i suoi mecenati. Momenti di storia e di poesia, Paolo Loffredo - Iniziative editoriali, Napoli 2017
  8. G. M. Cappelli, L’umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma 2010, 173-74, 290-291; Porcellio Pandone, Il De vita servanda a regum liberis, a cura di G. M. Cappelli, «Letteratura Italiana Antica», 5, 2004, 211-226; G. M. Cappelli, Pandone, Porcelio, in Dizionario Biografico degli Italiani, 80, Roma 2014, 736-740
  9. A. Iacono, Classici latini e tecniche di autocitazione nella composizione poetica di Porcelio de' Pandoni, «Bollettino di Studi Latini» XLVII, 1, 2017, pp. 156-177

Bibliografia



Collegamenti esterni


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