Calafuria è un film del 1943 diretto da Flavio Calzavara, tratto dall'omonimo romanzo di Delfino Cinelli.
Calafuria | |
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Paese di produzione | Italia |
Anno | 1943 |
Durata | 76 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | drammatico |
Regia | Flavio Calzavara |
Soggetto | Delfino Cinelli |
Sceneggiatura | Flavio Calzavara, Delfino Cinelli |
Produttore | Giovanni Addessi |
Produttore esecutivo | Eugenio Fontana |
Casa di produzione | Nazionalcine |
Distribuzione in italiano | Nazionalcine |
Fotografia | Gábor Pogány |
Montaggio | Ignazio Ferronetti |
Musiche | Virgilio Doplicher |
Scenografia | Italo Cremona |
Trucco | Piero Mecacci |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori originali | |
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Una notte a Firenze il noto pittore livornese Tommaso Bardelli salva in un vicolo una ragazzina, Marta, che poi si rivelerà essere figlia di uno scultore che morendo aveva lasciato lei e la madre nella miseria, dalle percosse di un bruto. L'uomo la porta a Livorno nella villa dello zio a Calafuria e se ne innamora. Ben presto si viene a sapere del suo passato immorale, ma quando rimane incinta lui decide di sposarla. Contrario al matrimonio, l'anziano zio mette i bastoni tra le ruote ai due; Marta scappa facendosi credere suicidata negli scogli di Calafuria. Si rifugia invece a Roma da un'anziana ostetrica, che scoperta l'identità del padre intende avvisarlo segretamente della realtà dei fatti. Tommaso, però, per dimenticare l'accaduto era partito volontario per la guerra dove rimane gravemente ferito. In fin di vita, riceve nell'ospedale la lettera sullo stato di Marta e la nascita del loro figlio, e ciò gli dà coraggio per il difficile intervento chirurgico da subire. Al risveglio ritrova Marta al suo capezzale in compagnia del loro figlio. La coppia è riunita sotto il segno dell'arte, l'artista Tommaso e la figlia del noto scultore Traversi. Costei, ospite dell'ostetrica, Giovanna Dini, che aveva agevolato la nascita del bambino, abitava la stessa casa occupata anche da una nota giornalista. Sarà ancora Giovanna che, attraverso la lettera che viene letta dall'infermiera a Tommaso che si sta riprendendo molto lentamente, aggiornerà lo spettatore sull'inserimento sociale di Marta: «(...) vi scrivo a sua insaputa. Povera Marta, ha stentato molto l'esistenza, ma ora disegna illustrazioni per una mia amica che lavora a una rivista mensile».
Una scena è stata girata a Firenze, ove è visibile Ponte Vecchio.
Il film venne distribuito nel circuito cinematografico italiano l'11 marzo 1943.
«[...] una vicenda già tutta distesa per le esigenze di una sceneggiatura, e poi invece stranamente infoltita e fatta deviare da parte degli sceneggiatori, che non avrebbero dovuto sentirne alcun bisogno; qui, una vicenda assai folta di casi e di ambienti, che gli sceneggiatori dovevano forzatamente snellire. Snellire significa quasi sempre variare, ma questa volta la sceneggiatura, almeno come racconto di vicenda, appara plausibile e accurata, eccettuato il finale: nel romanzo Tommaso Bardelli muore in un ospedaletto, mi pare di Gradisca, dopo un'azione sul Carso; nel film il lieto fine calca toni e deforma situazioni, dopo averle frettolosamente predisposte. Ma questa figuretta di Marta è viva, è forse la migliore interpretazione di Doris Duranti; l'ambiente della villa Jackson è un ambiente; e quasi tutto il film è sorvegliato da una vigile cura, patinata sovente di toni un po' letterari, a evitare i quali sarebbe stata necessaria tutt'altra impostazione. Così, il film appare come una illustrazione di alcuni episodi del romanzo, tratteggiata da un disegnatore che ha saputo trarre partito da indovinati esterni, da pause un po' sospese, da morbidezze ora un po' torbide, ora allusive; e accanto alla Duranti è Gustav Diessl, sobrio e intelligente come sempre. [...]» |
(Mario Gromo su La Stampa del 21 maggio 1943[1]) |
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