Il circo (The Circus) è un film muto diretto, interpretato e prodotto da Charlie Chaplin.
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Il circo | |
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Titolo originale | The Circus |
Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Stati Uniti d'America |
Anno | 1928 |
Durata | 71 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,33:1 film muto |
Genere | comico, drammatico, sentimentale |
Regia | Charlie Chaplin |
Soggetto | Charlie Chaplin |
Sceneggiatura | Charlie Chaplin |
Produttore | Charlie Chaplin |
Casa di produzione | Charles Chaplin Productions |
Fotografia | Roland Totheroh |
Montaggio | Charlie Chaplin |
Musiche | Charlie Chaplin, Eric James, Günter Kochan (1969) |
Scenografia | Charles D. Hall |
Interpreti e personaggi | |
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Una tranquilla visita del vagabondo alla fiera rischia di trasformarsi in un mare di guai. Un borsaiolo, vistosi scoperto dalla sua vittima, si disfa della refurtiva nascondendola nelle tasche di un ignaro Charlot. Questi tenta di discolparsi ma poi è costretto a fuggire dai poliziotti, entrando dapprima in un labirinto degli specchi, poi sostituendosi a degli automi, dei quali imita alla perfezione i movimenti meccanici, ed infine irrompendo al centro della pista di un circo durante l'esibizione di un improbabile e maldestro illusionista. Con la propria comparsa e la goffaggine del suo comportamento Charlot provoca le fragorose risate del pubblico, piacevolmente sorpreso dall'improvviso sviluppo comico del numero di magia.
Lo scarso livello qualitativo degli artisti e la conseguente precaria condizione economica del circo suggeriscono al proprietario di assumere l'artefice del ritrovato entusiasmo degli spettatori, cioè Charlot. Egli viene iniziato ai rudimenti dell'arte del clown, ma con risultati assolutamente deludenti e controproducenti che decretano la sua mancata assunzione. L'improvviso sciopero degli inservienti del circo vale il reintegro del vagabondo nell'organico in qualità di attrezzista. In questo modo egli ha l'occasione, involontariamente, di rivelare nuovamente la sua capacità di far ridere il pubblico con il proprio comportamento sconclusionato. Lo scaltro proprietario, accortosi della sua comicità inconsapevole, decide di sfruttare Charlot come buffone per risollevare le sorti del suo circo, ma senza riconoscergli nulla.
Charlot stringe amicizia con la bella figlia del padrone e se ne invaghisce. Sarà la ragazza ad aprirgli gli occhi sulla situazione del suo impiego sottopagato e ad incoraggiarlo a rivendicare dignità e salario. L'arrivo di un nuovo artista, l'equilibrista Rex, e gli sguardi languidi lanciatigli dalla ragazza destano la gelosia del vagabondo che prova ad emulare di nascosto il rivale alla corda sospesa, fin quando non sarà sorpreso dal principale. La disillusione amorosa azzera il potenziale del vagabondo, il cui numero non fa più divertire il pubblico, ma soltanto arrabbiare il padrone.
L'occasione di rivalsa gli si offre quando deve sostituire l'equilibrista, temporaneamente introvabile, nel suo spettacolo alla corda. La sfortuna, l'imperizia e l'accanimento di alcune scimmiette dispettose, che quasi provocano la sua caduta, compromettono la riuscita del numero che il vagabondo aveva furbamente preparato con la complicità di un addetto alla corda, il quale avrebbe dovuto sostenerlo in sicurezza durante le evoluzioni acrobatiche. Il venir meno di questo accorgimento e - soprattutto - un litigio con il principale, decretano definitivamente il licenziamento del vagabondo.
La ragazza, continuamente vessata dal padre, fugge dal circo raggiungendo Charlot il quale, consapevole dei sentimenti di lei, predispone un piano affinché Rex la sposi e la sottragga alle angherie paterne. La condizione perché i due artisti ora sposi riprendano il loro posto nella compagnia del padre di lei, che non può rinunciare alle loro esibizioni, è la riassunzione del vagabondo che, però, declina l'offerta e in solitudine assiste alla partenza dei carrozzoni circensi. Una volta scomparsi all'orizzonte egli si avvia mestamente, ma dignitosamente, incontro ad una nuova avventura.
Uno dei più riusciti capolavori di Chaplin, ricco di invenzioni comiche quanto di sottile sentimento e poesia, costò molta fatica a Chaplin, che dovette sudare parecchio per portarlo a termine nonostante le disavventure che ne resero difficoltosa la produzione. Solo sul finire degli anni sessanta egli si riappacificò con questa pellicola, che tanti dispiaceri evidentemente doveva ricordargli, allorché per la nuova riedizione compose la traccia musicale e interpretò personalmente, a 79 anni, la canzone d'apertura del film.
Dapprima alcune disavventure familiari minarono seriamente l'equilibrio psichico di Chaplin. Il matrimonio forzato con Lita Grey fu solo fonte di tribolazioni e si avvicinava ormai alla definitiva rottura con quello che sarebbe stato il più sensazionale divorzio dell'Hollywood del tempo: esorbitanti le richieste economiche di Lita e miserevole il suo tentativo di distruggere la carriera artistica del marito con l'infamia e lo scandalo.
Il film stesso rischiò seriamente di non arrivare mai sugli schermi quando i legali della controparte chiesero ed ottennero il sequestro dei beni di Chaplin. Questi, previdente, aveva provveduto in tempo a mettere al sicuro il materiale girato, ma il blocco degli studios gli costò otto mesi di inattività ed un profondo esaurimento nervoso, con manifestazioni di insonnia e di fobie a sfondo igienista, altre insane fissazioni e l'improvviso ingrigirsi dei capelli che, alla ripresa della lavorazione, lo costrinse a ricorrere alla tintura. Pregio di Lita fu di suggerire una sua amica come primattrice: Merna Kennedy, diciottenne al debutto cinematografico e, successivamente, involontaria fonte di gelosia per l'amica di un tempo.
Distribuito negli USA dall'United Artists, fu proiettato la prima volta a New York il 6 gennaio 1928.[1]
Questo film valse a Chaplin un Oscar alla carriera nella prima edizione degli stessi "per la versatilità ed il genio nella recitazione, sceneggiatura, regia e produzione". Chaplin era candidato come miglior attore, ma l'Academy lo escluse dalla competizione perché potesse ricevere un premio speciale. Di questo film, però, Chaplin, non parla affatto nella sua autobiografia.
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