La leggenda del Piave è un film del 1952 diretto da Riccardo Freda, liberamente ispirato all'omonima canzone di Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario).
La leggenda del Piave | |
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Paese di produzione | Italia |
Anno | 1952 |
Durata | 95 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | drammatico, sentimentale, storico, guerra |
Regia | Riccardo Freda |
Soggetto | Riccardo Freda |
Sceneggiatura | Riccardo Freda, Giuseppe Mangione |
Produttore | Manlio Morelli |
Casa di produzione | Produzione Film Colamonici Tuppini |
Distribuzione in italiano | Indipendenti Regionali |
Fotografia | Sergio Pesce |
Montaggio | Mario Serandrei |
Musiche | Ermete Giovanni Gaeta, Carlo Rustichelli, dirette da Ugo Giacomozzi |
Scenografia | Alfredo Montori |
Costumi | Camillo Del Signore |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori originali | |
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Prima guerra mondiale. Il conte veneto Riccardo Dolfin si arruola nell'esercito al solo scopo di portare avanti dei traffici commerciali nelle retrovie. Quando la moglie Giovanna, fervente patriota, scopre le manovre del marito durante una visita a Verona, decide di lasciarlo. Ma gli austriaci forzano Caporetto e, mentre Giovanna tenta di rientrare a casa, oltre il Piave, si ritrova circondata dagli invasori.
Il film, dai toni patriottici, è ascrivibile al filone dei melodrammi sentimentali, comunemente detto strappalacrime, allora molto in voga tra il pubblico italiano, in seguito ribattezzato dalla critica con il termine neorealismo d'appendice.
Il film venne distribuito nel circuito cinematografico italiano nell'autunno del 1952.
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Il titolo del film di Riccardo Freda è ispirato alla celebre Leggenda del Piave, canzone scritta dal musicista napoletano Giovanni Gaeta e pubblicata nel 1918, che ispirò coraggio alle truppe italiane demoralizzate dalla disfatta di Caporetto dell'ottobre-novembre 1917. Riccardo Freda affrontò questo episodio storico - raramente trattato nel cinema italiano - senza il tono politicamente critico di un Francesco Rosi, né il tocco mezzo umoristico e mezzo tragico di un Mario Monicelli. Jacques Lourcelles ritiene che sia piuttosto un film formalmente molto ricco che prende in prestito dal melodramma, dai film d'avventura e dagli affreschi storici", il che corrisponde alla natura abituale di un regista che brilla soprattutto nelle scene d'azione e di movimento. "Il film non rifiuta il realismo, ma solo se ha una dimensione epica e va oltre l'aneddoto e la semplice verità di un momento, scrive Lourcelles.[1]
La canzone di Gaeta era già stata trasposta al cinema all'epoca del muto con l'omonimo film diretto da Mario Negri nel 1924.
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