La marcia su Roma è un film del 1962 diretto da Dino Risi.
La marcia su Roma | |
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Paese di produzione | Italia |
Anno | 1962 |
Durata | 94 min |
Dati tecnici | B/N |
Genere | commedia |
Regia | Dino Risi |
Soggetto | Age, Furio Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara |
Sceneggiatura | Age, Furio Scarpelli, Ruggero Maccari, Ettore Scola, Sandro Continenza, Ghigo De Chiara |
Produttore | Mario Cecchi Gori per Fair Film (Roma), Orsay Film (Parigi) |
Distribuzione in italiano | Dino De Laurentiis Cinematografica |
Fotografia | Alfio Contini |
Montaggio | Alberto Gallitti |
Musiche | Marcello Giombini |
Scenografia | Ugo Pericoli |
Costumi | Ugo Pericoli |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Nell'immediato primo dopoguerra, l'ex combattente senza arte né parte Domenico Rocchetti, sul cui spirito patriottico c'è molto da dubitare (ha fatto la guerra soltanto perché coscritto), si ritrova ormai costretto a mendicare per le strade di Milano, tampinando i vari passanti col suo passato "glorioso" di combattente che ha versato sangue per la Patria, esibendone a riprova una falsa medaglia al valore e delle presunte ferite di guerra, talvolta arrivando a riconoscere negli astanti che gli prestano attenzione persino dei suoi ex ufficiali, ai quali prega per un aiuto per i suoi eroici trascorsi.
Un giorno per puro caso s'imbatte proprio in un suo vecchio ufficiale, il capitano Paolinelli, il quale, dopo averlo schiaffeggiato sonoramente in pubblico per questo suo fingersi un eroe di guerra disastrato, lo convince poi, avendovi constatato l'effettiva indigenza nella quale verserebbe, ad iscriversi all'appena costituitosi Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini, presso cui è un membro d'un certo rilievo, asserendogli che il neonato partito ha a cuore proprio i reduci bisognosi come lui e che intende porre rimedio agli sconquassi ed alla miseria sopravvenuta nonostante l'esito vittorioso del conflitto.
I fascisti sono in piena campagna elettorale e Rocchetti perciò s'impegna ad aiutare Paolinelli nei suoi comizi elettorali nelle campagne. Ma le camicie nere non sono per nulla ben viste dai paesani - parecchi di loro sono socialisti oppure anarchici che proprio con quelli che ora si presentano come fascisti si sono spesso e volentieri fronteggiati durante le lotte sociali contro il latifondo -, che si mettono dunque ad azzuffarsi con gli squadristi. Rocchetti naturalmente se la dà a gambe levate, rifugiandosi in una stalla dove viene ciononostante sorpreso ed aggredito da un contadino che vi lavora, e che si rivelerà esser il suo ex-commilitone Umberto Gavazza; rinnovatasi quindi la loro vecchia amicizia, Gavazza lo vorrebbe pertanto ospitare nel paese a spese del cognato Cristoforo, un convinto socialista antifascista, che però li caccia di casa non appena viene a sapere dell'identità di Rocchetti.
Gavazza, da principio un simpatizzante del Partito Popolare cattolico, si fa pure lui convincere alfine dal programma del partito fascista, nella fattispecie dalla promessa delle redistribuzione delle terre incoltivate ai contadini, entrando cosí a far parte delle camicie nere. Successivamente, a causa dell'esito fallimentare dell'elezioni, che ha visto il PF ottenere a malapena quattromila voti, i due amici si trovano assieme ai loro camerati ad adoperarsi per far fallire un massiccio sciopero imbastito dagli spazzini milanesi, spazzando le strade al loro posto, nel tentativo di rifarsi della batosta elettorale con l'"imporsi nelle piazze". Tra i netturbini e i fascisti però si finisce per arrivare allo scontro, interrotto con fatica dall'intervento dei carabinieri a cavallo, uno dei quali viene colpito per errore da una ramazzata di Rocchetti. Tutti e due condannati e messi in galera, verranno liberati un paio d'anni dopo dagli squadristi che, senza che la polizia cerchi quantomeno di fermarli, ne prenderanno d'assalto le carceri. Da qui inizia la loro marcia su Roma.
Il Partito Nazionale Fascista ha infatti deciso di prendere il potere con la forza. Comincia così un'avventura tragicomica dei due fattisi camerati per opportunismo, l'uno perché spera in un impiego statale ben remunerato e l'altro perché sogna di diventare un proprietario terriero, ma a mano a mano che procedono indefessi verso Roma, gli si mostra il vero volto del fascismo. Gavazza cancella di volta in volta le promesse riportate sul programma del partito e si mostra sempre più scettico sull'operato dello stesso, constatandone l'incoerenza rispetto al programma ufficiale, oltreché la reazionaria violenza delle squadre fasciste, con spedizioni punitive verso tutti coloro considerati responsabili di "sgarbi" verso il partito (i due vengono mandati infatti a punire il giudice che li aveva condannati, ma paradossalmente saranno poi loro ad andarsene come cani bastonati) ed assalti a sedi di partito socialiste e alle stesse Camere del Lavoro.
La loro scalcinata squadra è guidata da Marcacci, detto Mitraglia, un vero violento fascista che, quando tutta l'adunata è ormai alle porte di Roma, bloccata momentaneamente dall'intervento del Regio Esercito, si spinge addirittura ad uccidere un ferroviere che vorrebbe impedire ai camerati di forzare il portellone di un vagone per passarci la notte al riparo. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso: il mite Gavazza, disgustato da tutto ciò, decide d'abbandonarne i ranghi ma viene sorpreso da Marcacci, che lo percuote duramente e quasi l'uccide; interviene però l'amico Rocchetti, che lo salva tramortendo Mitraglia e, avendo finalmente capito anche lui la vera natura del fascismo, abbandona assieme a Gavazza la marcia su Roma, assistendo poi in compagnia dell'amico, in giacca e cravatta, come dei semplici spettatori un po' scettici, alla sfilata delle camicie nere davanti al Quirinale.[1]
Sotto la veste tragicomica di una tipica commedia all'italiana in realtà il film presenta una ricostruzione satirica[2] dell'avvento del fascismo.[3][4]
Il protagonista interpretato da Vittorio Gassman rappresenta la condizione dei reduci che risentono della grave crisi economica del dopoguerra e che vedono come per altri la guerra sia stata invece un'occasione per arricchirsi.[5]
Il capitano Paolinelli invece raffigura il malessere di coloro che nella guerra si erano in qualche modo realizzati e che ora si sentivano disadattati nella nuova condizione di pace. Quindi ambedue sperano nel fascismo che si proclama tutore degli ex-combattenti e persecutore dei capitalisti profittatori arricchitisi con le forniture militari. Il contadino Gavazza, cattolico del Partito Popolare, è invece attirato dal fascismo poiché questo gli promette una rivoluzione proletaria e contadina che gli darà la terra. Anche qui sono evidenziate nel film le responsabilità dei cattolici che videro nel fascismo un argine contro il socialismo.
Il film poi ben coglie uno degli elementi determinanti per l'affermarsi del regime fascista raffigurato dall'inerzia del governo di fronte alle violenze fasciste come nell'episodio della liberazione dal carcere dei due protagonisti, e nell'assalto alla sede operaia nel paese successivo, testimoniata dal carabiniere che rivolto al superiore "Brigadiere, non hanno il porto d'armi! - e questi - E allora!?"
Altrettanto importante è la connotazione di come il fascismo si sia affermato grazie all'appoggio economico dei grandi latifondisti agrari identificati nel film dal decrepito marchese a cui i due camerati confiscano l'automobile che ridurranno a rottame: saranno per questo duramente puniti dal Paolinelli quando il marchese ricorda a questi il "generoso supporto" dato al partito fascista.
Tutta la vicenda si svolge poi in un contorno che vede i cittadini sostenitori del nuovo regime, mentre nelle campagne anarchiche e socialiste è forte l'opposizione anche violenta dei contadini e nelle città degli operai di cui è vittima Rocchetti che corre il rischio di essere linciato.
Il film accenna poi anche alla responsabilità degli intellettuali per l'avvento del fascismo tratteggiati nella figura del poeta dannunziano fascista che accompagna tutta la spedizione illustrandola con i suoi versi strampalati e altisonanti. Infine è ben mostrata l'opposizione dell'esercito che minaccia di spazzare via i fascisti e la definitiva responsabilità del Re che dà il via libera alla presa del potere di Mussolini, illudendosi, come mostra l'ultima scena del film, che dopo aver eliminato la minaccia dei "sovversivi", il regime possa essere in breve tempo sostituito dal ritorno di un governo liberale moderato.[6]
La colonna sonora, curata dal Maestro Marcello Giombini, contiene anche la canzone Tutti a Roma, cantata da Roby Crispiano (disco 45 giri CAM, CA 2471).
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