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Rinascimento privato è l'ultimo romanzo scritto da Maria Bellonci. Il libro, vincitore del Premio Strega nel 1986,[1] è un'autobiografia immaginaria di Isabella d'Este, che ripercorre gli anni salienti del Rinascimento italiano attraverso un punto di vista privato, cioè dall'interno della corte del Ducato di Mantova.

Rinascimento privato
Leonardo da Vinci, Ritratto di Isabella d'Este
AutoreMaria Bellonci
1ª ed. originale1985
GenereRomanzo
SottogenereRomanzo storico
Lingua originaleitaliano
ProtagonistiIsabella d'Este

«Il mio segreto è una memoria che agisce a volte per terribilità.»

(Isabella d'Este)

Struttura del libro


Il libro, come altre opere della Bellonci, è molto ben documentato e basato con precisione sui documenti originali dell'epoca che l'autrice ebbe modo di studiare in modo approfondito. Non si tratta tuttavia di una ricostruzione storica, come il precedente libro Lucrezia Borgia (durante la stesura del quale nacque forse l'idea della realizzazione di Rinascimento privato), ma è un vero romanzo storico, con alcune invenzioni dell'autrice, in sostanza rappresentate dal personaggio immaginario di Robert de la Pole, un ecclesiastico inglese che scrive ad Isabella da svariati punti d'Europa (ispirato probabilmente al cardinale Reginald Pole).

L'inserimento di questa figura nel romanzo permette di introdurre avvenimenti e figure storiche importanti nel quadro storico dell'epoca, anche se non sono venuti in contatto diretto con Isabella. Inoltre sostituisce con eleganza sia la figura del narratore, inconciliabile con la forma autobiografica, sia le figure di altri relatori storicamente esistiti che magari hanno fatto da fonte alla Bellonci, ma che essa non può usare direttamente senza compromettere la fluidità del testo stesso. In questo modo l'autrice evita di forzare una o più figure realmente esistite e rispetta la fedeltà storica preferendo inserire un falso dichiarato.

Si sviluppa così anche una vicenda parallela ai ricordi della protagonista, ovvero il rapporto unilaterale tra l'inglese (chiamato anglico) e Isabella, che non risponde mai alle sue lettere, ma è scissa in un sentimento duplice: da una parte l'immediata attrazione verso questa figura devota e lontana, dall'altra la perplessità per il modo non convenzionale in cui egli si pone; Isabella risolverà il nodo inquieto di come agire attraverso un silenzio-assenso riguardo al ricevere le missive dai caratteri appuntiti (così l'autrice fa immaginare la calligrafia dell'uomo).


Il linguaggio


La Bellonci ricostruisce un linguaggio fruibile in modo limpido dal lettore moderno, ma con una patina di antico in modo da rendere più realistica la narrazione in prima persona. Per esempio spesso usa lemmi ormai desueti, un vero e proprio lessico d'epoca, come quello legato a mode e oggetti del tempo, come tabì (la seta pesante), morello (un colore tendente al nero), aromatario (l'addetto ai profumi), lupo cerviero (la pelliccia di lince), eccetera. Altre volte sceglie forme arcaiche di parole e nomi: istorie invece di storie, aere invece di aria, Baldesar Castiglione invece di Baldassarre Castiglione, talvolta evitando i dittonghi di origine seicentesca (rotare, infocato, movendo...). Altre volte poi la riscoperta nasce sfruttando suffissi arcaizzanti come -ivo per gli aggettivi (attrattivo, dubitativo, ragionativo...), -evole (lusinghevole, ridevole...), -oso (corruccioso...) o -ità per i sostantivi (attrattività, istintività), parole comunque non coniate ex novo, ma presenti nel vocabolario storico letterario. Per esempio corruccioso è usato da Jacopo da Lentini e Jacopone da Todi, malinconoso dal Boccaccio e da Pietro Bembo.

Solo in alcuni casi usa parole non documentate applicando suffissi diversi a forme documentate (come foiano invece di foioso, e pochi altri casi). Anche la sintassi talvolta è modificata, come nelle strutture del sostantivo seguito dall'aggettivo possessivo (il Mantegna nostro o la corte mia...), o in frasi di costruzioni infinitive latineggianti o con il verbo anteposto (era costui grandissimo signore).

Nelle lettere di Robert De La Pole, lo stile si fa poi ridondante, in senso coerente con gli epistolari dell'epoca che la Bellonci ha avuto modo di studiare, quasi adulativo quando si tratta di rivolgersi a Isabella, con espressioni insolite che connotano le lettere verso un certo eccesso verbale.

In definitiva l'autrice non usa il linguaggio originale dell'epoca, peraltro ben documentato, ma si limita a inserire con misura e funzionalità alcune parole e strutture linguistiche rare rispetto alla costruzione odierna, ma non così desuete da essere irriconoscibili: crea così una patina di antico che aderisce a tutto il testo, senza però comprometterne la scorrevolezza e la piacevolezza di lettura.


Trama


Il libro è diviso in capitoli non numerati, intervallati da dodici lettere di Robert De La Pole. La narrazione è immaginata come un lungo flashback che avviene nel 1533, quando Isabella quasi sessantenne sta scrivendo le sue memorie in una stanza detta degli orologi nel Palazzo Ducale di Mantova. A parte qualche rimando al presente o al lontano passato, la narrazione si svolge per lo più in ordine cronologico, dall'anno 1500 al 1533, appunto, data nella quale Isabella esce di fatto di scena, terminando gli eventi salienti della sua vita (morì poi nel 1539).


Prima parte: Misura di giovinezza



Seconda parte: Coraggiose paure



Terza parte: Armata di solo scudo



Quarta parte: Fuggire per tornare



Quinta parte: Federico anima mia



Sesta parte: Roma Roma



Settima parte: Per non morire di malinconia



Edizioni



Note


  1. 1986, Maria Bellonci, su premiostrega.it. URL consultato il 16 aprile 2019.

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