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Don Chisciotte della Mancia (in spagnolo El Ingenioso Hidalgo Don Quijote de la Mancha) è un romanzo spagnolo di Miguel de Cervantes Saavedra, pubblicato in due volumi, nel 1605 e 1615. È considerato non solo come la più influente opera del Siglo de Oro e dell'intero canone letterario spagnolo, ma un capolavoro della letteratura mondiale nella quale si può considerare il primo romanzo moderno. Vi si incontrano, bizzarramente mescolati, sia elementi del genere picaresco sia del romanzo epico-cavalleresco, nello stile del Tirant lo Blanch e del Amadís de Gaula. I due protagonisti, Alonso Chisciano (o don Chisciotte) e Sancho Panza, sono tra i più celebrati personaggi della letteratura di tutti i tempi.

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Don Chisciotte della Mancia
Titolo originaleEl ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha
Frontespizio della prima edizione (1605)
AutoreMiguel de Cervantes
1ª ed. originale1605-1615
1ª ed. italiana1622-1625
Genereromanzo
Lingua originalespagnolo
AmbientazioneSpagna
ProtagonistiDon Chisciotte
CoprotagonistiSancio Panza

Il pretesto narrativo ideato dall'autore è la figura dello storico Cide Hamete Benengeli, di cui Cervantes dichiara di aver ritrovato e fatto tradurre il manoscritto in arabo aljamiado, nel quale sono raccontate le vicende di don Chisciotte.[1] Oltre l'artificio letterario dal forte valore parodico, l'invenzione di questo narratore inaffidabile e di altri filtri narrativi destinati a creare ambiguità nel racconto è una delle più fortunate innovazioni introdotte da Cervantes.

L'opera di Cervantes fu pubblicata nel 1605 quando l'autore aveva 57 anni. Il successo fu tale che Alonso Fernández de Avellaneda, pseudonimo di un autore fino ad oggi sconosciuto, pubblicò la continuazione nel 1614. Cervantes, disgustato da questo sequel, decise di scrivere un'altra avventura del don Quijote - la seconda parte - pubblicata nel 1615. Con oltre 500 milioni di copie, è il romanzo più venduto della storia.[2]


Trama


Il protagonista della vicenda - un uomo sulla cinquantina, forte di corporatura, asciutto di corpo e di viso - è un hidalgo spagnolo di nome Alonso Quijano, morbosamente appassionato di romanzi cavallereschi. Per scoprire le altre caratteristiche del nostro eroe sarà utile leggere La vita di don Chisciotte e Sancho Panza (1905) di Miguel de Unamuno, il quale però dà una lettura e un'interpretazione molto personale e parziale del grande romanzo. Le letture condizionano a tal punto il personaggio da trascinarlo in un mondo fantastico, nel quale si convince di essere chiamato a diventare un cavaliere errante. Si mette quindi in viaggio, come gli eroi dei romanzi, per difendere i deboli e riparare i torti. Alonso diventa così il cavaliere don Chisciotte della Mancia e inizia a girare per la Spagna. Nella sua follia, don Chisciotte trascina con sé un contadino del posto, Sancio Panza, cui promette il governo di un'isola a patto che gli faccia da scudiero.

Come tutti i cavalieri erranti, don Chisciotte sente la necessità di dedicare a una dama le sue imprese. Lo farà scegliendo Aldonza Lorenzo, una contadina sua vicina, da lui trasfigurata in una nobile dama e ribattezzata Dulcinea del Toboso.

Purtroppo per don Chisciotte, la Spagna del suo tempo non è quella della cavalleria e nemmeno quella dei romanzi picareschi, e per l'unico eroe rimasto le avventure sono scarsissime. La sua visionaria ostinazione lo spinge però a leggere la realtà con altri occhi. Inizierà quindi a scambiare i mulini a vento con giganti dalle braccia rotanti, i burattini con demoni, le greggi di pecore con eserciti arabi, i quali sottomisero la Spagna al loro dominio dal 711 al 1492. Combatterà questi avversari immaginari risultando sempre sonoramente sconfitto, e suscitando l'ilarità delle persone che assistono alle sue folli gesta. Sancio Panza, dal canto suo, sarà in alcuni casi la controparte razionale del visionario don Chisciotte, mentre in altri frangenti si farà coinvolgere dalle ragioni del padrone.


Prima parte


don Chisciotte e Ronzinante, dipinto di Honoré Daumier
don Chisciotte e Ronzinante, dipinto di Honoré Daumier

La prima parte del romanzo è preceduta da un prologo tra l'arguto e il serio, nel quale l'autore si scusa per lo stile semplice e per la narrazione esile e "priva di citazioni".

Segue il primo capitolo che tratta delle condizioni, dell'indole e delle abitudini del nobiluomo don Alonso Quijano, di un borgo della Mancia, di cui non vale la pena ricordare l'esatta denominazione:

«Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un hidalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia.»

«Toccava i cinquant'anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia [...] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch'eran la maggior parte dell'anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l'esercizio della caccia ed anche l'amministrazione delle cose domestiche.»

Con lui vivono una governante sulla quarantina, una nipote di vent'anni e un domestico. Inaspettatamente, la passione per la letteratura cavalleresca si trasforma a un tratto in una forma di delirio; Alonso decide quindi di farsi cavaliere errante e di andarsene armato a cavallo in giro per il mondo, facendo piazza pulita di tutte le ingiustizie, le prepotenze e i soprusi. Immagina come proprio futuro premio la corona di Imperatore di Trebisonda e così inizia a mettere in atto il suo progetto.

Come prima cosa ripulisce e rimette in sesto alcune armi che erano appartenute ai suoi avi; poi si reca dal suo ronzino che gli sembra, anche se malconcio, persino superiore al leggendario Bucefalo di Alessandro Magno. Poiché al ronzino manca un nome, don Alonso decide di chiamarlo Ronzinante, ovvero "primo fra tutti i ronzini del mondo"; solo in seguito pensa di nobilitare in qualche modo anche il proprio nome, e decide per "don Chisciotte della Mancia", un nome che pone in evidenza il suo lignaggio e onora la sua terra natale. Ma si rende conto che manca ancora qualcosa:

«Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz'anima, andava dicendo a sé stesso»

don Chisciotte e Sancio Panza in un ritratto di Gustave Doré
don Chisciotte e Sancio Panza in un ritratto di Gustave Doré

La donna dei sogni viene così identificata in una certa Aldonza Lorenzo, giovane contadina di un piccolo paese vicino che viene subito ribattezzata Dulcinea del Toboso, anche se rimarrà sempre all'oscuro di essere diventata la dama di tale cavaliere. Fatti tutti questi preparativi e preoccupato per i danni che può procurare al mondo tardando a partire, don Chisciotte si mette presto in viaggio. Cammin facendo si chiede come fare a battersi per nobili cause se nessuno lo aveva armato cavaliere. Il problema è risolto a fine giornata quando egli, giunto in un "nobile castello" (in realtà un'umile osteria) sottopone la questione al "castellano" (l'oste). Questi, resosi conto della pazzia del suo cliente, finge di essere un grande signore e con l'aiuto di due donzelle (che sono in realtà delle prostitute) lo arma cavaliere. All'alba, don Chisciotte lascia l'osteria felice e contento.

Nel bosco libera un ragazzo che era stato legato e picchiato da un contadino e riprende la strada alla ventura, quando incontra un gruppo di Toledo che si reca a comprare seta a Murcia; don Chisciotte, certo che siano cavalieri erranti, grida loro di fermarsi e di dire che in tutto il mondo nessuna era più bella dell'Imperatrice della Castiglia-La Mancia, Dulcinea del Toboso. I mercanti si fanno gioco di lui e ne nasce una rissa in cui don Chisciotte, caduto malamente da cavallo, viene bastonato di santa ragione da uno stalliere.

Un contadino del suo paese, di ritorno dal mulino col carro, lo trova e lo riporta a casa dove la nipote e la governante erano in pensiero per la sua assenza. Il curato del paese e il barbiere, fattagli una visita, si rendono conto del suo stato e decidono di bruciargli tutti i libri di cavalleria nella speranza che guarisca. Ma don Chisciotte non guarisce e dopo quindici giorni convince un contadino del paese, di buon carattere ma non troppo "sveglio", ad andare con lui in veste di scudiero, promettendogli di farlo governatore se avessero conquistato un'isola. Il contadino, che si chiama Sancio Panza, accetta; salito sul suo asinello, parte con don Chisciotte in sella al suo ronzino per le vie del mondo.

«Viaggiava Sancio Panza sopra il suo asino come un patriarca, colle bisacce in groppa e la borraccia all'arcione, e con un gran desiderio di diventare governatore dell'isola che il padrone gli aveva promesso.»

Sono da poco in cammino quando si vedono all'orizzonte trenta o quaranta mulini a vento, che don Chisciotte scambia per smisurati giganti coi quali vuole subito battagliare. Malgrado gli ammonimenti di Sancio egli si slancia a galoppo contro il primo mulino a vento, cadendo a terra e rimanendo piuttosto malconcio.

I due riprendono la strada e incontrano una comitiva costituita da due frati dell'ordine di San Benedetto, un cocchio con dentro una dama biscaglina diretta a Siviglia, quattro persone a cavallo di scorta e due mulattieri a piedi. Don Chisciotte scambia i due frati per degli incantatori e la dama per una principessa rapita e ordina loro di liberarla. Seguono altre zuffe.

Ripreso il cammino i due arrivano a una osteria di campagna, che don Chisciotte nuovamente scambia per un castello, prendendo altresì le sguattere per delle principesse.

In seguito don Chisciotte incontra un gregge di pecore, prendendolo per un vasto esercito; vedendolo menare colpi agli animali con la lancia in resta, i pastori gli gridano di fermarsi; poiché questo non serve, per poco non lo ammazzano:

«cominciarono a salutargli l'udito con pietre grosse come il pugno»

Da questo scontro don Chisciotte perde due denti e da questo momento si chiamerà "Il Cavaliere dalla Trista Figura".

Un'altra volta capita a don Chisciotte e a Sancio di assistere a un funerale notturno; il cavaliere, credendo che il catafalco sia la barella di un cavaliere ferito o morto, decide di far giustizia assalendo uno dei vestiti a lutto. Gli altri, disarmati, si spaventano e scappano. Questa volta Sancio ammira veramente il valore del suo padrone e, quando il caduto si rialza, dice:

«Se mai quei signori volessero sapere chi è stato il valoroso che li ha ridotti a quel modo, vossignoria dirà che è il famoso Don Chisciotte della Mancia, il quale con altro nome si chiama il Cavaliere dalla Trista Figura»

Le avventure di don Chisciotte proseguono con l'assalto a un barbiere che si recava a prestare i suoi servizi e al quale don Chisciotte toglie la catinella di rame che scambia per l'elmo di Mambrino; poi libera alcuni galeotti attaccando le guardie che li scortano.

Infine, assalito dalle nostalgie d'amore, decide di ritirarsi a vita di penitenza tra i boschi della Sierra Morena in omaggio alla sua Dulcinea, e rimanda Sancio al paese affinché riferisca alla donzella le sue sofferenze d'amore. Quando il curato e il barbiere vengono a sapere da Sancio le ultime novità, riescono con un espediente a ricondurre a casa il penitente.

La prima parte del romanzo termina con quattro sonetti in memoria del valoroso don Chisciotte, di Dulcinea, di Ronzinante e di Sancio, seguiti da due epitaffi conclusivi, a dimostrazione che Cervantes non pensava allora di pubblicare la seconda parte del Don Chisciotte.


Seconda parte


Don Chisciotte e Sancio Panza dopo la rovinosa caduta
Don Chisciotte e Sancio Panza dopo la rovinosa caduta

La seconda parte inizia con un "Prologo" al lettore, nel quale Cervantes allude al secondo Don Chisciotte, un apocrifo scritto da un autore con lo pseudonimo di Alonso Fernández de Avellaneda e pubblicato nel 1614, e alle discussioni che ne erano seguite, e promette di esaurire, con questa seconda parte, tutte le avventure dell'hidalgo fino alla morte e alla sepoltura.[3]

Don Chisciotte è curato dalla sua vecchia governante e dalla nipote ma non guarisce e un giorno, all'insaputa di tutti, insieme al suo fido Sancio, riprende le vie per il mondo. Prendono subito la via per il Toboso perché don Chisciotte desidera, prima di partire per altre avventure, avere la benedizione della sua Dulcinea. Ma è molto difficile scovare questa luminosa bellezza, simbolo di tutte le perfezioni, perché il paese è tutto vicoli e casette e non si vede nemmeno un castello o una torre.

Sancio, che ha ormai capito quali sono i capovolgimenti operati dalla fantasia nel cervello di don Chisciotte, consiglia il padrone di ritirarsi nel bosco per evitare guai con gli abitanti, si offre per trovare la bellissima e si reca in paese. Al ritorno dice al padrone che tra non molto vedrà avanzare la principessa vestita in gran pompa seguita da due damigelle.

«...Già intanto erano uscite dalla selva ed ecco scorsero lì vicine tre campagnole. Don Chisciotte sospinse lo sguardo per tutta la strada, ma non vedendo che tre contadine, si rannuvolò tutto e domandò a Sancio se mai le avesse lasciate fuori della città.»

Sancio Panza risponde con grande stupore:

«Stia zitto, signore, non dica così, ma si stropicci cotesti occhi e venga a riverire la signora dei suoi pensieri, che è già qui presso. E così dicendo si avanzò a ricevere le tre contadine; quindi smontando dal somaro, prese per la cavezza la bestia d'una delle tre; poi, piegando a terra tutte e due le ginocchia, disse:-Regina e principessa e duchessa della bellezza, la vostra altierezza e grandezza si compiaccia di ricevere in sua grazia e buon talento il cavaliere vostro schiavo...»

Don Chisciotte, con gli occhi stralunati, si mette accanto a Panza e rimane senza parlare mentre nel suo animo si era già dato una spiegazione per quello che credeva un incantesimo. Quando le tre contadine se ne vanno egli esprime il suo pensiero a Sancio:

«Che ne dici Sancio? Vedi quanto male mi vogliono gli incantatori? Vedi fin dove arriva la loro cattiveria e l'astio che mi portano, poiché hanno voluto privarmi della gioia che avrebbe potuto darmi il veder nella sua vera forma la mia signora...»

Il povero don Chisciotte si trova in questo stato d'animo quando si imbatte in una compagnia di comici coi quali non riesce a mettersi d'accordo e viene messo in fuga da un fitto lancio di sassi.

Più avanti egli incontra il Cavaliere degli Specchi che lo sfida a duello con la condizione che, chi avesse perso il duello, sarebbe stato alle condizioni del vincitore; per un imprevisto don Chisciotte vince il duello. Questo cavaliere non è altro che uno studente di Salamanca, un certo Sansone Carrasco amico di don Chisciotte, che ricorre a quel trucco nella speranza di vincere il duello per ricondurlo al villaggio, ma non ci riesce.

Alonso Quixano (non ancora Don Chisciotte) nella sua biblioteca, tra i romanzi cavallereschi.
Alonso Quixano (non ancora Don Chisciotte) nella sua biblioteca, tra i romanzi cavallereschi.

Don Chisciotte e Panza proseguono il cammino e incontrano un carro dentro al quale vi sono due leoni in gabbia. Don Chisciotte vuole misurarsi con uno dei leoni e apre la gabbia creando grande spavento tra i guardiani. Ma i leoni annoiati non escono dalle gabbie e gli voltano le spalle. A don Chisciotte rimarrà il nome di Cavaliere dei Leoni secondo l'usanza dei cavalieri erranti che potevano cambiare il nome quando volevano.

Testimone di questa ultima impresa è don Diego de Miranda, Cavaliere dal Verde Gabbano, che è felice di ospitare il suo scudiero. Mentre sono ospiti di don Diego, si celebra il matrimonio della bella Chilteria e del povero Basilio e, dopo le nozze, don Chisciotte si fa calare, legato a una fune, nella grotta di Montesinos che si trova nel mezzo della Mancia, e quando ne esce racconta le cose più strane e fantastiche.

I due continuano la strada e le avventure. Un giorno incontrano il duca e la duchessa di Aragona che, avendo letto la prima parte delle avventure del Fantastico Nobiluomo don Chisciotte della Mancia, desiderano conoscere il cavaliere e ospitarlo, con Sancio, nel loro castello. I due accettano e il duca e la duchessa si divertono a prenderli in giro inscenando in un bosco una mascherata con maghi, demoni, donzelle e altri personaggi.

In seguito imbastiscono il dramma della contessa Trifaldi e delle sue dodici pulzelle che hanno il volto barbuto per un incantesimo del mago Malabruno.

Don Chisciotte dovrà affrontare il mago nel suo paese cavalcando Clavilegno, un cavallo alato che in realtà è fatto di legno ed è carico di mortaretti, cosicché, quando Chisciotte e Sancio lo cavalcano bendati, il duca dà fuoco alle polveri e i due, dopo aver fatto un gran salto in aria, cadono sull'erba. L'incantesimo è rotto. Più tardi il duca nomina Sancio governatore dell'isola di Barattaria, ma la vita è troppo complicata per il semplice scudiero che se ne ritorna dal suo padrone.

I due lasciano il castello alla volta di Barcellona e lungo la strada incontrano ancora tantissime avventure finché l'ultima pone fine alla vita del cavaliere errante ed è la sfida che gli viene da Sansone Carrasco, lo studente di Salamanca, travestito da Cavaliere della Bianca Luna. Lungo la strada don Chisciotte incontra il Cavaliere della Bianca Luna che lo sfida a confessare che la sua dama è più bella di Dulcinea. Il Cavaliere dei Leoni rimane allibito da tanta arroganza e accetta la sfida con il patto che chi avesse perso si sarebbe consegnato nelle mani del vincitore. Così avvenne che don Chisciotte, vinto da Carrasco, che aveva usato ancora una volta un trucco, si consegna nelle sue mani e viene finalmente ricondotto a casa. Una volta al villaggio, forse per l'abbattimento di essere stato vinto o per destino, viene colto da una improvvisa febbre che lo tiene a letto per sei giorni. Malgrado la visita degli amici il cavaliere si sente molto triste e, al termine di un sonno di sei ore, egli si sveglia gridando che stava per morire e ringraziando Dio per aver riacquistato il senno. Don Chisciotte vuole confessarsi e in seguito fare testamento, e dopo qualche giorno, tra i pianti degli amici e soprattutto di Sancio, muore.

Per la sua sepoltura furono composti molti epitaffi tra i quali quello di Sansone Carrasco:

Giace qui l'hidalgo forte
che i più forti superò,
e che pure nella morte
la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto,
lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura
morir savio e viver matto.

Significato e importanza del Don Chisciotte


Don Chisciotte in un'illustrazione di Gustave Doré
Don Chisciotte in un'illustrazione di Gustave Doré

Lo scopo di Cervantes è sottolineare l'inadeguatezza della nobiltà dell'epoca a fronteggiare i nuovi tempi che correvano in Spagna, un periodo storico caratterizzato infatti dal materialismo e dal tramonto degli ideali,[4] e contraddistinto dal sorgere della crisi che dominerà il periodo successivo al secolo d'oro appena conclusosi. "Don Chisciotte lamenta la diabolica invenzione della polvere da sparo che aveva messo fine per sempre alla fase cavalleresca della guerra"[5]"[...]. Milan Kundera scrive che "il romanzo appare come una sarcastica conclusione di tutta la letteratura precedente: fantastica, eroica, piena di leggende e miti" e, citando Octavio Paz, che "lo humour è una grande invenzione dell'epoca moderna legata alla nascita del romanzo, e in particolare a Cervantes"[6]"[...] . Nel finale dell'opera Cervantes scrive:

«Il quale autore (...) altro non chiede se non che le si attribuisca la stessa attendibilità che le persone intelligenti riconoscono ai libri di cavalleria, che il mondo ha tanto in considerazione.»

Il primo fine del romanzo, dichiarato esplicitamente nel Prologo dallo stesso Cervantes, è quello di ridicolizzare i libri di cavalleria e di satireggiare il mondo medievale, tramite il "folle" personaggio di don Chisciotte; in Spagna, la letteratura cavalleresca, importata dalla Francia, aveva avuto nel Cinquecento grande successo, dando luogo al fenomeno dei "lettori impazziti".

Cervantes vuole inoltre mettere in ridicolo la letteratura cavalleresca per fini personali. Infatti, egli fu soldato, combatté nella battaglia di Lepanto e fu un eroe reale (ovvero impegnato in battaglie reali in difesa della Cristianità), ma trascorse gli ultimi anni della sua vita in povertà (leggenda vuole che Cervantes trascorse gli ultimi suoi anni di vita in carcere), non solo non premiato per il suo valore, ma addirittura dimenticato da tutti.

Nel Don Chisciotte ogni cosa può essere soggetta a diversi punti di vista (ad esempio i mulini a vento diventano dei giganti), il che fa perdere chiaramente l'esatta concezione della realtà. Nell'opera di Cervantes è presente una dimensione tragica che dipende dall'inesistente corrispondenza fra cose e parole: le vicende cavalleresche ormai sono parole vuote, ma don Chisciotte a causa della sua locura ("pazzia", in spagnolo) non se ne accorge e cerca di ristabilire i rapporti fra realtà e libri. A fare da contraltare alle farneticazioni di don Chisciotte c'è Sancio Panza, che ogni volta interpreta correttamente le vicende molto terrene e mondane che il padrone scambia per mirabolanti avventure. Abbiamo quindi l'anziano hidalgo idealista fino a perdere la ragione e la rispettabilità e il popolano coi piedi fermamente piantati per terra e buon senso, che si fa però trascinare in disastrose imprese abbacinato dalle promesse di futura gloria.

L'accumularsi di situazioni in cui lo stesso oggetto dà origine a interpretazioni dei due personaggi diametralmente opposte senza che nessuno dei due prevalga sull'altro, che trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda, incutono nel lettore quella sensazione di incertezza irrisolvibile, tipica del Manierismo che viene risolta nella seconda parte grazie all'apertura di una nuova dimensione, squisitamente barocca, della narrazione, con la storia di nuovi eventi e la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione e la narrazione vengono ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà, che è dinamica. All'interno di questa rete ognuno è costretto a reinterpretare la realtà come meglio crede poiché il narratore onnisciente scompare e il significato è affidato a due manoscritti diversi, spesso in contrapposizione fra di loro, con cui l'autore si prende gioco disseminando qua e là incongruenze e lacune per mettere in dubbio la verità dei due manoscritti. L'opera di Cervantes si colloca quindi perfettamente nell'età barocca in cui la realtà appare ambigua e sfuggente, dominata dall'indebolirsi del confine tra reale e fantastico nonché soggetta ad essere descritta da diversi punti di vista contraddittori.

Questo romanzo rispetto ai poemi cavallereschi (Orlando Furioso) tratta di argomenti contemporanei e non del passato (canzoni di gesta) ed è in prosa e non in versi. Del romanzo picaresco conserva l'interesse per gli aspetti più degradati della realtà (povere osterie, campagne desolate, ecc.) e per i personaggi più miseri (contadini, galeotti, prostitute) ma la condizione sociale del protagonista non è quella di un picaro bensì di un hidalgo. Inoltre, rispetto al romanzo picaresco, l'opera presenta una struttura e dei personaggi più complessi.[7] Don Chisciotte rappresenta la crisi del Rinascimento e l'inizio del barocco. Il romanzo mette in luce l'esigenza di far emergere la propria individualità, fuori di rigidi rapporti sociali cristallizzati, facendo emergere l'istinto, la follia, il sogno, l'ignoto.[8]. Il critico Mario Pazzaglia scrive: "L'intento dichiarato dell'autore era quello di abbattere l'autorità e il favore che hanno nel pubblico di tutto il mondo i libri di cavalleria, parodiandoli; e l'intento rispecchiava, in fondo, una crisi di valori nell'Europa del tempo travagliata da lotte di potenza imperialistica e dal deciso predominio del capitalismo che sosteneva i nuovi stati assolutistici ed era certo intimamente avverso a ogni forma di idealismo, di liberalità e di generosità cavalleresca"[9]. Don Chisciotte è preda della follia in quanto interpreta la realtà in maniera distorta, ma nella seconda parte del romanzo la sua follia appare in buona parte consapevole, proprio come quella che Amleto finge nella tragedia di William Shakespeare; la follia di don Chisciotte è lo strumento per rifiutare la volgarità e la bassezza del reale, la follia di Amleto è il mezzo attraverso il quale il protagonista, principe di Danimarca, tenta di smascherare la corruzione e l'immoralità della sua corte. La teatralità poi ha una parte fondamentale nell'opera di Cervantes: essa fa sì che il romanzo si trasformi in una grande recita che culmina con il falso duello tra don Chisciotte e il Cavaliere della Bianca Luna.

Cesare Segre scrive:[10]"[...] Don Chisciotte si è poi preso come scudiero un contadino ignorante e sentenzioso, Sancio, che in linea di principio smonta con il buon senso le fantasticherie del padrone, ma lentamente è attratto nel gioco e diventa una caricatura dello stesso don Chisciotte. Il don Chisciotte della seconda parte è concepito da Cervantes in modo molto diverso, ma anche per mortificare un mistificatore, Avallaneda, che lo aveva anticipato con una seconda parte apocrifa. [....] Così, mentre nella prima parte è don Chisciotte che cerca di trasformare la realtà secondo i suoi sogni, nella seconda si sente obbligato ad accettare e motivare a posteriori le trasformazioni apportate dai suoi interlocutori. I quali, onorandolo e coccolandolo, in realtà fanno di lui uno zimbello, quasi un buffone di corte" (in particolare, nella seconda parte, nei capitoli XXXIV-XXXV, vi si narra una macchinazione dei duchi di cui don Chisciotte è ospite). Segre conclude con queste riflessioni: "Se nella prima parte don Chisciotte si ingannava, nella seconda viene ingannato, e la parabola da pazzia trasfiguratrice a pazzia organizzata, eteronoma, segue l'arco narrativo costituito dallo sviluppo fra prima e seconda parte. Ciò rende più complesso il rapporto fra realtà e follia e invenzione, in un gioco di specchi esasperatamente letterario. Il mondo che ora don Chisciotte attraversa è molto più ricco e variegato di quanto lo stesso don Chisciotte immaginasse, ma è anche tale da produrre una serie crescente di scacchi, come la sconfitta in duello da parte di un cavaliere più finto di lui, o la rovinosa caduta nel fango dopo che un'orda di porci lo ha travolto con Sancio. Don Chisciotte è diventato un personaggio tragico, e, prima di dichiararsi risanato e pentito, e dunque vinto, sul letto di morte, esclama, come un mistico: io sono nato per vivere morendo".[11]

Il Don Chisciotte è stato considerato il progenitore del romanzo moderno da importanti critici, tra cui György Lukács. Gli si contrappone, specie in ambito anglosassone, l'opera dello scrittore inglese del primo Settecento Daniel Defoe.


Influenza in letteratura


Lo status del romanzo nella storia della letteratura è stato a causa di una ricca e variata influenza sugli scrittori posteriori a Cervantes. Alcuni esempi sono i seguenti:


Don Chisciotte in musica


Il personaggio di don Chisciotte ha ispirato anche Giovanni Paisiello che scrisse un'opera buffa in tre atti su libretto di Giovanni Battista Lorenzi e che venne rappresentata per la prima volta al Teatro dei Fiorentini di Napoli nel 1769.Meno nota è l'opera di Georg Philipp Telemann intitolata "Don Quichotte an der Hochzeit des Camacho".

Famoso anche il poema sinfonico "Don Quixote" di Richard Strauss. Grazie ad una musica molto intuitiva, nella quale Strauss dipinge i personaggi e le molteplici situazioni, ascoltando questo brano straordinario, della durata di 40/45 minuti, possiamo ripercorrere l'epopea di don Chisciotte fino alla tragicomica meditazione notturna che avviene prima della morte. Inoltre famoso è il balletto Don Chisciotte con la musica di Ludwig Minkus, peraltro preceduto fin dal Seicento da altri balletti anch'essi ispirati al romanzo di Cervantes.

Fantastica e di grande respiro è inoltre l'opera Don Quichotte di Jules Massenet su libretto di Henri Caïn definita Commedia eroica in 5 atti. Di un solo atto è invece l'opera da camera di Manuel de Falla che si ispira al ben noto episodio "El retablo de Maese pedro". Da ricordare sono anche le tre liriche su testo di Paul de Moran su musica di Maurice Ravel e le "Tres chançons" di Jacques Ibert scritte per il celebre basso russo Fëdor Ivanovič Šaljapin inserite in un film del 1933 di Georg Wilhelm Pabst.

Anche nella musica leggera numerosi cantautori e gruppi si sono ispirati, al personaggio di don Chisciotte, evidenziandone talvolta l'aspetto della follia, altre dell'idealismo che combatte battaglie considerate dagli altri inutili:


Adattamenti cinematografici



Adattamenti teatrali



Adattamenti opere liriche



Adattamenti televisivi



Edizioni integrali italiane



Note


  1. La finzione del manoscritto ritrovato è presente nelle opere di vari autori, per esempio nell'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, in Ivanhoe di Walter Scott, ne I promessi sposi di Alessandro Manzoni, ne Il nome della rosa di Umberto Eco.
  2. (EN) The all-time most popular books in the world revealed, in Stylist Magazine. URL consultato il 29 gennaio 2017 (archiviato il 16 febbraio 2017).
  3. Nella seconda parte, Cervantes difende il suo Don Chisciotte dialogando spesso con l'opera apocrifa, ridicolizzandola in un gioco che lo rende in embrione anche un metaromanzo allogeno, o un romanzo-saggio come dice Cesare Segre nell'introduzione alla ristampa Mondadori del 1991.
  4. Don Kixote - The Shipwreck Bag Show, su Rockit.it. URL consultato il 14 aprile 2022.
  5. Ian Watt, Miti dell'Individualismo moderno - Faust, don Chisciotte, don Giovanni, Robinson Crusoe, Donzelli Editore, Roma 1996
  6. La Repubblica, 14 luglio 1999,
  7. Alberto Dendi, Elisabetta Severina, Alessandra Aretini, Cultura letteraria italiana ed europea, ed. Carlo Signorelli, Milano, 2007, vol. 3, p. 179 e segg.
  8. Garzantina della Letteratura, 2005, pp. 197-99.
  9. . Mario Pazzaglia, Letteratura italiana, Zanichelli ed., Bologna, 1986, vol. 2, p. 421.
  10. Vita dell'eterno Don Chisciotte sognatore sempre ingannato ne Il Corriere della sera, 1º marzo 2013, pag.55.
  11. Lo studioso E.C. Riley (La teoria del romanzo in Cervantes, Bologna, Il Mulino, 1988) rileva un'analogia stretta tra il gioco di specchi che Cervantes crea e la composizione del quadro Las Meninas (Velázquez).
  12. Era prevista una seconda miinserie sulla Seconda Parte del romanzo, ma il progetto venne abbandonato per la morte dell'attore principale.
  13. sceneggiati rai, su www.alabardaspaziale.it. URL consultato il 20 ottobre 2022.

Bibliografia



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[es] Don Quijote de la Mancha

Don Quijote de la Mancha[lower-alpha 1] es una novela escrita por el español Miguel de Cervantes Saavedra. Publicada su primera parte con el título de El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha a comienzos de 1605, es la obra más destacada de la literatura española y una de las principales de la literatura universal, además de ser la más leída después de la Biblia.[1][2] En 1615 apareció su continuación con el título de Segunda parte del ingenioso caballero don Quijote de la Mancha. El Quijote de 1605 se publicó dividido en cuatro partes; pero al aparecer el Quijote de 1615 en calidad de Segunda parte de la obra, quedó revocada de hecho la partición en cuatro secciones del volumen publicado diez años antes por Cervantes.[3]
- [it] Don Chisciotte della Mancia

[ru] Дон Кихот (роман)

«Хитроу́мный ида́льго Дон Кихо́т Лама́нчский» (исп. El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha), часто просто «Дон Кихо́т» — роман испанского писателя Мигеля де Сервантеса Сааведра (1547—1616) о приключениях одноимённого героя. Был опубликован в двух томах. Первый вышел в 1605 году, второй — в 1615 году. Роман задумывался как пародия на рыцарские романы.



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