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Il nome della rosa è un romanzo scritto da Umberto Eco ed edito per la prima volta da Bompiani nel 1980.

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Il nome della rosa (disambigua).
Il nome della rosa
AutoreUmberto Eco
1ª ed. originale1980
GenereRomanzo
Sottogeneregiallo, storico, gotico, filosofico
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneNord Italia, monastero medievale, 1327
ProtagonistiGuglielmo da Baskerville
CoprotagonistiAdso da Melk
Altri personaggila ragazza, Jorge da Burgos, Abbone da Fossanova, Ubertino da Casale, Bernardo Gui, Malachia da Hildesheim, Salvatore, Remigio da Varagine, Severino da Sant'Emmerano, Bencio da Uppsala, Berengario da Arundel, Venanzio da Salvemec, Alinardo da Grottaferrata

Già autore di numerosi saggi, il semiologo decise di scrivere il suo primo romanzo, cimentandosi nel genere del giallo storico e in particolare del giallo deduttivo. Tuttavia, il libro può essere considerato un incrocio di generi, tra lo storico, il narrativo e il filosofico.

L'opera, ambientata sul finire dell'anno 1327, si presenta con un classico espediente letterario, quello del manoscritto ritrovato, opera, in questo caso, di un monaco di nome Adso da Melk, che, divenuto ormai anziano, decide di mettere su carta i fatti notevoli vissuti da novizio, molti decenni addietro, in compagnia del proprio maestro Guglielmo da Baskerville. La vicenda si svolge all'interno di un monastero benedettino ed è suddivisa in sette giornate, scandite dai ritmi della vita monastica.

Il romanzo ha ottenuto un vasto successo di critica e di pubblico, venendo tradotto in oltre 45 lingue con oltre 60 milioni di copie vendute in trent'anni[1]. Ha ricevuto diversi premi e riconoscimenti, tra cui il Premio Strega del 1981, ed è stato inserito nella lista de "I 100 libri del secolo di Le Monde".

Dal romanzo sono state tratte diverse trasposizioni, tra cui si segnalano le seguenti: l'omonimo film del 1986, diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery, Christian Slater e F. Murray Abraham; l'omonima miniserie del 2019, diretta da Giacomo Battiato, con John Turturro, Damian Hardung e Rupert Everett.

Nel maggio del 2020, la casa editrice La Nave di Teseo, fondata dallo stesso Eco, pubblica una versione del romanzo arricchita coi disegni e gli appunti preparatori dell’autore.


Trama


«Il 16 agosto 1968 mi fu messo tra le mani un libro dovuto alla penna di tale abate Vallet, Le manuscript de Dom Adson de Melk, traduit en français d'après l'édition de Dom J. Mabillon (Aux Presses de l'Abbaye de la Source, Paris, 1842)»

(Umberto Eco, Incipit della prefazione a Il nome della rosa, 1980)

Nel prologo, l'autore racconta di aver letto durante un soggiorno all'estero il manoscritto[2] di un monaco benedettino riguardante una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale in un'abbazia sulle Alpi piemontesi. Rapito dalla lettura, egli inizia a quel punto a tradurlo su qualche quaderno di appunti prima di interrompere i rapporti con la persona che gli aveva messo il manoscritto tra le mani. Dopo aver ricostruito la ricerca bibliografica che lo portò a recuperare alcune conferme, oltre alle parti mancanti del testo, l'autore passa quindi a narrare la vicenda di Adso da Melk.


Gli omicidi nell'abbazia


È la fine di novembre del 1327. Guglielmo da Baskerville, un frate francescano inglese e il suo allievo Adso da Melk si recano in un monastero benedettino di regola cluniacense sperduto sui monti dell'Appennino toscano, da Pisa verso i cammini di San Giacomo.[3] Questo monastero sarà sede di un delicato convegno che vedrà protagonisti i francescani (sostenitori delle tesi pauperistiche e alleati dell'imperatore Ludovico) e i delegati della curia papale di Papa Giovanni XXII, insediata a quei tempi ad Avignone. I due religiosi (Guglielmo è francescano e inquisitore "pentito", il suo discepolo Adso è un novizio benedettino) si stanno recando in questo luogo perché Guglielmo è stato incaricato dall'imperatore di partecipare al congresso quale sostenitore delle tesi pauperistiche. L'abate, timoroso che l'arrivo della delegazione avignonese possa ridimensionare la propria giurisdizione sull'abbazia e preoccupato che l'inspiegabile morte del giovane confratello Adelmo durante una bufera di neve possa far saltare i lavori del convegno e far ricadere la colpa su di lui, decide di confidare nelle capacità inquisitorie di Guglielmo affinché faccia luce sul tragico omicidio, cui i monaci tra l'altro attribuiscono misteriose cause soprannaturali. Nel monastero circolano infatti numerose credenze circa la venuta dell'Anticristo.

Nonostante la quasi totale libertà di movimento concessa all'ex inquisitore, viene trovato morto Venanzio, giovane monaco traduttore dal greco e amico di Adelmo. Un personaggio su cui si vociferano malignità è l'aiuto bibliotecario Berengario, troppo succube del bibliotecario Malachia, grasso, minato nella salute (soffre di convulsioni), e peccatore anche di sodomia concupendo i giovani monaci e scambiando favori sessuali con libri proibiti. Guglielmo ipotizzerà infatti che è proprio a causa di questo scambio che Adelmo si toglie la vita, non prima di aver rivelato a Venanzio del libro e come trovarlo.

Guglielmo sospetta sin dall'inizio e man mano si convince sempre più che il segreto dietro tutte le morti sia da cercare nella lotta di potere all'interno dell'abbazia e in un libro misterioso nascosto nella biblioteca, il cui impianto ottagonale è certamente ispirato alla planimetria ottagonale di Castel del Monte in Puglia, come lo stesso Eco afferma e da lui stesso disegnata nei sui schizzi e appunti, vanto del monastero costruito come un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante. Durante le indagini sulla morte di Adelmo e Venanzio, Guglielmo trova infatti su un frammento di pergamena delle scritte fatte da due mani diverse, una in greco (che riconduce ad uno "strano" libro) e una in latino (la chiave per entrare nel Finis Africae, settore della biblioteca in cui è custodito il libro, che riporta la frase: "Secretum finis Africae manus supra idolum age primum et septimum de quatuor"). Guglielmo conclude che Venanzio ricevette questo brandello di pergamena da Adelmo quando lo incontrò mentre vagava tra le tombe nel cimitero per andare incontro al suo destino. La notte dopo Venanzio si reca in biblioteca e riesce a recuperare il libro, ma viene poi trovato morto nello scriptorium da un misterioso monaco (che si scoprirà poi essere Berengario), che per allontanare lo scandalo dalla biblioteca si carica il cadavere in spalla e lo scarica nell'orcio pieno di sangue dei maiali.

Mappa della biblioteca
Mappa della biblioteca

Quella stessa mattina, convinti di dar la caccia a un libro in greco, né Adso né Gugliemo prestano attenzione ad un libro scritto in arabo e su diversi tipi di pergamena che si trova sul tavolo di Venanzio. Quella notte, il libro viene sottratto dall'aiuto bibliotecario Berengario, insieme alle lenti da vista di Guglielmo. Guglielmo e Adso entrano nella biblioteca, e non sapendo né come orientarsi né cosa cercare, riescono ad uscirne solo grazie alla fortuna. Il mattino successivo anche Berengario risulta sparito, e sarà ritrovato a sera, morto, nei balnea. All'autopsia, anche Berengario ha la punta delle dita e della lingua nere.

Nel monastero sono presenti anche due ex appartenenti alla setta dei dolciniani: il cellario Remigio da Varagine e il suo amico Salvatore, che parla una strana lingua che combina latino, spagnolo, italiano, francese e inglese. Remigio intrattiene un commercio illecito con una povera fanciulla del luogo, che in cambio di favori sessuali riceve cibo dal cellario. Una notte, anche lo stesso Adso, per una serie di circostanze, fa la conoscenza della ragazza nelle cucine dell'edificio, e scopre i piaceri dei sensi nutrendo per la ragazza un misto di amore e preoccupazione. Confessata pudicamente a Guglielmo la sua avventura, questi gli dice che il fatto non dovrà più ripetersi ma che non si tratta di un peccato così grave se paragonato a quelli che avvengono nell'abbazia sotto i loro occhi.

L'indagine di Guglielmo è interrotta dall'arrivo della delegazione papale. L'inquisitore Bernardo Gui trova la fanciulla insieme a Salvatore e prende spunto dalla presenza di un gallo nero, che la ragazza affamata avrebbe voluto mangiare, per accusare entrambi di essere cultori di riti satanici. Dopo esser riuscito a ottenere una confessione dal povero Salvatore, che ammette il suo passato di dolciniano, Bernardo Gui processa e condanna fra' Remigio, Salvatore e la fanciulla, dichiarandoli inoltre colpevoli delle morti avvenute nel monastero.

Il bibliotecario Malachia, convinto dall'uomo che aveva cercato di impedire che il libro venisse letto, uccide l'erborista Severino da Sant'Emmerano (che fino ad allora aveva aiutato Guglielmo con le sue conoscenze sulle erbe) e, il giorno seguente, viene ritrovato morto. Guglielmo ricostruisce l'accaduto: Berengario ha disobbedito per la prima volta a Malachia e invece di consegnargli il libro misterioso lo ha letto; tormentato dal veleno, si è recato in erboristeria per cercare delle erbe lenitive per fare il bagno, ha nascosto il libro in erboristeria ed è poi morto nei balnea. Severino trova il libro e cerca di avvertire Guglielmo impegnato nella disputa teologica sul tema della povertà della Chiesa cattolica, ma viene intercettato e ucciso da Malachia. Nemmeno quest'ultimo, però, riconosce il libro. Guglielmo e Adso cercano tra i libri di Severino un libro greco, senza sapere, però, che lo stesso libro è composto anche da un libro arabo, perciò non gli prestano attenzione. Poco dopo lo trova invece Bencio, che lo nasconde. Malachia lo raggiunge e gli propone di diventare il nuovo aiuto bibliotecario, Bencio gli restituisce il libro, e Malachia legge anch'egli il libro invece di rimetterlo al suo posto e per questo trova la morte, mentre mormora "aveva il morso di mille scorpioni".

Bencio è un ambizioso, avendo desiderato il posto da bibliotecario e nascosto informazioni a Guglielmo, ma adesso è disperato e non sa cosa fare. Guglielmo lo rimprovera aspramente e gli consiglia di non fare niente se vuole aver salva la vita.


La lotta di potere all'interno dell'abbazia e la genealogia dei bibliotecari e degli abati


Guglielmo e Adso hanno modo di parlare con tutti i monaci dell'abbazia. In particolare, i colloqui con il mastro vetraio Nicola da Morimondo e il vecchio Alinardo da Grottaferrata risultano molto interessanti: molti monaci sono scontenti per il modo in cui l'abbazia viene guidata; si maligna su Abbone, divenuto abate perché figlio di un feudatario e non per meriti religiosi se non quello di essere riuscito a calare il corpo di San Tommaso d'Aquino dalla torre dell'abbazia di Fossanova (dove l'Aquinate effettivamente morì).

Durante lo stesso colloquio con Nicola da Morimondo, Guglielmo scopre che la nomina ad abate di Abbone ha sconvolto le tradizioni due volte: in primis perché non era stato bibliotecario, e poi perché aveva nominato bibliotecario un tedesco (Malachia), che si era scelto come aiuto un inglese (Berengario), scontentando gli italiani che erano legati alla tradizione di avere bibliotecari (e quindi abati) italiani. All'arrivo di Nicola da Morimondo all'Abbazia, Abbone era infatti già abate ma il bibliotecario era Roberto da Bobbio e i confratelli anziani parlavano di uno sgarbo subito in passato da Alinardo da Grottaferrata a cui era stata negata la dignità di bibliotecario. Roberto da Bobbio aveva un aiutante che era poi morto e al suo posto era stato nominato Malachia che, divenuto bibliotecario, aveva eletto Berengario come suo aiuto. Era voce comune tra i monaci dell'Abbazia che Malachia fosse uno sciocco che faceva il cane da guardia all'abbazia senza aver capito nulla, poiché chiunque avesse bisogno di consigli circa i libri chiedeva a Jorge da Burgos, monaco anziano riverito per la sua erudizione e per il suo zelo religioso, e non a Malachia, tanto che a molti sembrava che fosse Jorge a dirigere il lavoro di Malachia. Guglielmo apprende che, secondo la regola benedettina, il bibliotecario è il candidato naturale a diventare abate. Prima di Abbone l'abate era Paolo da Rimini, prima ancora bibliotecario e lettore voracissimo ma incapace di scrivere e pertanto soprannominato abbas agraphicus, e Roberto da Bobbio era il suo aiuto. Quando Paolo diventa Abate, Roberto diventa bibliotecario, ma è già malato. Paolo da Rimini scompare durante un viaggio e pertanto gli succede Abbone e non Roberto da Bobbio. Nicola è convinto che Berengario e Malachia siano stati uccisi proprio perché un domani non diventassero abati e pertanto conclude che anche Bencio, essendo straniero, è in pericolo se Abbone lo nominerà bibliotecario.

La biblioteca ha un catalogo su cui il bibliotecario o l'aiuto riportano tutti i libri che transitano dall'abbazia. Consultandolo, Guglielmo rintraccia il susseguirsi degli abati e dei bibliotecari attraverso le loro calligrafie. Investigando su chi fosse il proprietario della calligrafia che riporta le acquisizioni al posto di Paolo da Rimini, che non poteva scrivere, capisce infine che l'aiuto bibliotecario di Roberto da Bobbio, che Nicola aveva ipotizzato essere morto, è in realtà vivo.

Nel colloquio successivo con Bencio si scopre che il libro che stanno cercando è strano perché in realtà è composto di 4 testi: uno in arabo, uno in siriano, uno in latino e uno in greco, definito acephalus perché mancante della parte iniziale. Inoltre, Bencio riporta che il testo greco è scritto su carta diversa, più soffice ed intrisa di umidità fin quasi a sfaldarsi. Guglielmo riconosce in quel tipo di carta il pergamino de pano e finalmente ha la certezza dell'identità del responsabile delle morti.


La soluzione del mistero


Guglielmo cerca di avvertire l'Abate del pericolo che lo minaccia, ma l'Abate decide per insabbiare la vicenda e risolverla con la sua autorità. Grazie a una celia in latino volgare riportatagli da Adso, Guglielmo scopre come entrare nel finis Africae dove è custodito il manoscritto fatale (l'ultima copia rimasta del secondo libro della Poetica di Aristotele), che tratta della commedia e del riso. Mentre salgono in biblioteca dall'ingresso posto dietro l'altare della chiesa che poi attraversa l'ossario, Guglielmo e Adso odono un battere disperato ai muri e capiscono che è l'abate che è rimasto imprigionato in un secondo accesso diretto al finis Africae, le cui porte possono venire azionate solo dall'alto. Nel finis Africae trovano il vecchio Jorge. Il pergamino de pano veniva prodotto in Spagna, e lo spagnolo Jorge è l'aiutante bibliotecario che aveva vinto la carica contro Alinardo e la cui calligrafia nel catalogo copre diverse pagine in corrispondenza del periodo in cui Paolo da Rimini era bibliotecario ma incapace di scrivere; divenuto cieco, aveva dovuto rinunciare alla carica di bibliotecario e di abate, facendo eleggere Malachia al suo posto ma continuando di fatto a governare la biblioteca. Jorge offre a Guglielmo il libro da leggere, ma questi lo sfoglia con le mani protette da un guanto, evitando quindi il contatto con il veleno; l'umidità delle pagine è infatti dovuta al veleno cosparso da Jorge sui bordi in modo da avvelenare ogni malcapitato lettore che dovesse sfogliarlo. Jorge si riprende il libro e scappa approfittando del buio, inseguito da Guglielmo e da Adso che si orientano con la provenienza della voce del vegliardo. Lo raggiungono in una sala e lo trovano intento a strappare e divorare le pagine avvelenate del testo in modo che più nessuno possa leggerlo. Percepito il calore del lume, Jorge lo rovescia, provocando un incendio che nessuno riuscirà a domare e che inghiottirà nel fuoco l'intera abbazia.



Scampati all'incendio, Adso e Guglielmo abbandonano l'abbazia e decidono di separarsi. Adso diventa monaco e narra di aver fatto ritorno anni dopo all'Abbazia, trovando, dove anni prima si erano consumati omicidi, intrighi, veleni e scoperte, solo silenzio ed angosciosa solitudine.


Data d'inizio della visita all'Abbazia


Il primo giorno della visita all'Abbazia effettuata nell'ultima settimana di novembre del 1327, verso le 2 del pomeriggio, Guglielmo chiede se avrebbero trovato qualcuno nello scriptorium anche se era domenica.[4] Guardando il calendario del novembre 1327 si vede che la domenica dell'ultima settimana di novembre cade il 22 novembre. In un'altra parte del testo il terzo giorno verso le ore 18 si dice che la Luna era luminosissima.[5] Infatti, la notte di martedì 24 novembre 1327, la Luna è crescente, e passa a Luna piena domenica 29 novembre 1327; non può però essere questa la domenica citata da Guglielmo, perché tre giorni dopo la Luna non può essere così luminosa, essendo una Luna calante.


Indice dei capitoli



Personaggi



Protagonisti



Monaci dell'Abbazia



Personaggi minori



Delegazione pontificia



Delegazione imperiale (minoriti)



Genesi dell'opera


L'autore, Umberto Eco, nel 1984
L'autore, Umberto Eco, nel 1984

Umberto Eco aveva alle spalle un gran numero di saggi. L'idea di scrivere un romanzo venne alla luce nel 1978, quando un amico editore gli disse di voler curare la pubblicazione di una serie di brevi romanzi gialli. Eco declinò l'offerta e, scherzando, affermò che se mai avesse scritto un romanzo giallo, sarebbe stato un libro di cinquecento pagine con protagonisti dei monaci medievali[8]. Quello che era nato come uno scherzo prese forma quando nella mente dell'autore si creò l'immagine di un monaco avvelenato mentre stava leggendo in una biblioteca.

Nelle Postille al Nome della rosa Eco scrisse che "voleva uccidere un monaco", ma in seguito criticò chi aveva preso alla lettera questa dichiarazione, affermando che la sua curiosità nasceva solamente dal fascino che l'immagine di un monaco morto mentre leggeva gli suscitava[9]. Le emozioni connesse a quest'immagine gli derivavano, a suo dire, dalla partecipazione a sedici anni ad un corso di esercizi spirituali presso il monastero benedettino di Santa Scolastica. La visione della biblioteca con il grande volume degli Acta Sanctorum aperti sul leggio e "lame di luce che entravano dalle vetrate opache" gli creò un indelebile "momento di inquietudine"[9].

La decisione di ambientare il romanzo nel medioevo fu una scelta dettata dalla familiarità di Eco con quel particolare periodo storico, che aveva già approfondito in studi e saggi precedenti[10]. Il primo anno, dopo aver avuto l'idea, l'autore lo passò pianificando i luoghi ed i personaggi della sua opera, per "prendere confidenza" con l'ambiente che stava immaginando ed entrare in familiarità con gli attori:

«[...] ricordo di aver passato un anno intero senza scrivere un rigo. Leggevo, facevo disegni, diagrammi, insomma inventavo un mondo. Ho disegnato centinaia di labirinti e di piante di abbazie, basandomi su altri disegni, e su luoghi che visitavo[11]


Titolo


Il titolo provvisorio del libro, durante la stesura, era L'abbazia del delitto. Successivamente Eco valutò anche il titolo Adso da Melk, ma poi considerò che nella letteratura italiana, a differenza di quella inglese, i libri aventi per titolo il nome del protagonista non hanno mai avuto fortuna. Infine si decise per Il nome della rosa, perché a chiunque chiedesse, "diceva che Il nome della rosa era il più bello"[11].

La scelta del titolo richiama inoltre il verso, di argomento nominalista, I, 952 del De contemptu mundi di Bernardo Cluniacense, che chiude il romanzo: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ("La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi") — nel senso che, come sostenuto dai nominalisti, l'universale non possiede realtà ontologica ma si riduce ad un mero nome, ad un fatto linguistico. Il titolo inoltre rimanda implicitamente ad alcuni dei temi centrali dell'opera: la frase "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" ricorda anche il fatto che di tutte le cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo. Così è per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, ad esempio, e per tutto un mondo, quello conosciuto dal giovane Adso, destinato a scomparire nel tempo. Ma in realtà tutta la vicenda narrata è un continuo ricercare segni, "libri che parlano di altri libri", come suggerisce lo stesso Eco nelle Postille al Nome della rosa[12], le parole e i "nomi" attorno a cui ruota tutto il complesso di indagini, lotte, rapporti di forza, conflitti politici e culturali[13].

In un articolo pubblicato da Griseldaonline, una rivista scientifica dell'Università di Bologna, si sostiene che molti elementi del Nome della rosa provengano in maniera deliberata dalle opere di Leonardo Sciascia. Tra questi, il titolo ricalcherebbe un'espressione utilizzata dallo scrittore siciliano in Nero su nero, una raccolta di scritti pubblicata nel 1979, un anno prima dell'uscita del Nome della rosa[14].


Incipit



Fonti di ispirazione e citazioni


All'epoca della concezione dell'opera, il romanzo storico con ambientazione medievale era stato riscoperto da poco in Italia da Italo Alighiero Chiusano, col suo L'ordalia. Le diverse similitudini (ambientazione temporale, genere inteso come romanzo di formazione, e scelta dei personaggi principali, un novizio e il suo maestro, un saggio monaco più anziano), e la notorietà che L'ordalia aveva nel 1979, che un esperto di letteratura come Umberto Eco difficilmente ignorava, fanno ritenere L'ordalia con molte probabilità una delle principali fonti di ispirazione de Il nome della rosa[17].

Sacra di San Michele, il monastero situato a Sant'Ambrogio di Torino al quale s'ispirò Eco
Sacra di San Michele, il monastero situato a Sant'Ambrogio di Torino al quale s'ispirò Eco

Dai nomi, dalle descrizioni dei personaggi e dallo stile scelto per la narrazione, risulta invece evidente l'omaggio che Eco fa a sir Arthur Conan Doyle e al suo personaggio di maggior successo: Sherlock Holmes. Guglielmo, infatti, sembra ricavato, per descrizione fisica e per metodo d'indagine, dalla figura di Holmes: le sue capacità deduttive, la sua umiltà e il suo desiderio di conoscenza sembrano infatti riprendere e, a tratti, esaltare gli aspetti migliori dell'investigatore britannico. Inoltre proviene dalla (immaginaria) contea di Baskerville, che riprende il nome da una delle più note opere di Doyle, Il mastino dei Baskerville, che per atmosfera può tranquillamente essere considerato come una delle fonti del libro di Eco. Parallelamente il giovane Adso riprende alcuni aspetti della figura del fido Watson holmesiano. Come Watson è il narratore in prima persona della vicenda e come lui si mostra ottuso e poco attento, nonostante il desiderio di apprendere, e pronto all'azione. I nomi dei due personaggi (Watson e Adso) presentano inoltre un'assonanza.

Evidenti sono anche i riferimenti nel romanzo di Eco a Brother Cadfael, monaco e investigatore medievale protagonista di una serie di romanzi gialli della scrittrice inglese Ellis Peters (1913-1995) a partire dal 1977 con A Morbid Taste for Bones, tradotto in italiano col titolo La bara d'argento, in cui fratello Cadfael ha come aiutanti due novizi.

La ripartizione del testo in base alle ore del giorno (ore canoniche nel romanzo di Eco) è un prestito dal celeberrimo romanzo Ulisse di James Joyce, anche se l'Ulisse si svolge in una sola giornata e non in sette.

In un dialogo tra Guglielmo e Adso il primo usa la metafora wittgensteiniana della scala che "si deve gettar via" dopo averla impiegata per salire, attribuendola a "un mistico delle tue terre" (Adso, come Wittgenstein, è austriaco).

Dopo il secondo omicidio, Guglielmo, a partire da un'osservazione di Alinardo (secondo giorno, dopo vespri), ipotizza che la serie dei delitti sia basata su un progetto ispirato alle sette trombe dell'Apocalisse, e ciò influenza le sue indagini successive. Ma alla fine si scopre che non c'era alcun piano ("Ho fabbricato uno schema falso per interpretare le mosse del colpevole e il colpevole vi si è adeguato", settimo giorno, notte; è significativo che Jorge, invece, pensi che si tratti di un piano divino di cui lui è lo strumento). Questo aspetto della vicenda poliziesca sembra ispirato a quanto accade nel racconto La morte e la bussola di Jorge Luis Borges.

Abbazia di San Gallo, la cui biblioteca ispirò Eco
Abbazia di San Gallo, la cui biblioteca ispirò Eco

Per ambientare il suo romanzo, Eco (che successivamente si è rivelato un profondo conoscitore del pensiero geografico e cartografico del Medioevo europeo, come traspare da molti elementi presenti nel romanzo) si è ispirato alla Sacra di San Michele, abbazia benedettina monumento simbolo del Piemonte[18][19][20].

Per lo scriptorium dell'Abbazia, Eco ha tenuto presente la biblioteca e l'intera abbazia di San Gallo in Svizzera[21] (in particolare è da menzionare la Pianta di San Gallo. Come la facciata della Chiesa dell'abbazia sembra ispirarsi anche alla Cattedrale di san Ciriaco ad Ancona. All'inizio del romanzo, prima del manoscritto, è riportata la pianta di un'abbazia che comunque ha una struttura diversa da quella del romanzo di Eco).

Alla fine del terzo giorno è presente una citazione dal V Canto dell'Inferno di Dante, la cui opera è citata un paio di volte. Inoltre, Adso racconta un proprio svenimento con le parole "Caddi come un corpo morto cade" che sono una chiara citazione della Commedia. Guglielmo invece parla di Malachia come di un "Vaso di coccio tra i vasi di ferro" richiamando Esopo e Manzoni.

Nel sogno di Adso, vengono citate due frasi che oggi sono famose perché ritenute fra i primi documenti del volgare italiano: "Traete, filii de puta!", da un'iscrizione nella Basilica di San Clemente in Roma, e "Sao ko kelle terre per kelle fini ke ki kontene..." dai Placiti cassinesi.

La scena in cui Adso copula con la contadinella è un collage di spezzoni del Cantico dei cantici e di brani di mistici che descrivono le loro estasi. In questo modo Eco ha cercato di trasmettere come un monaco sperimenterebbe il sesso attraverso la sua "sensibilità culturale"[8].

La tecnica con cui l'assassino uccide i monaci è ripresa dal film Il giovedì (1963) di Dino Risi.[22]


Il manoscritto


La finzione del manoscritto ritrovato, utilizzata da Umberto Eco, è un espediente narrativo già usato da altri autori nella storia della letteratura: per esempio Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, Walter Scott in Ivanhoe (un manoscritto anglonormanno), Nathaniel Hawthorne ne La lettera scarlatta, Cervantes nel Don Chisciotte (il manoscritto in aljamiado di Cide Hamete Benengeli), Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso, Giacomo Leopardi nel preambolo al Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco nelle Operette morali, o ancora Horace Walpole con il Castello di Otranto del 1764, considerato il primo romanzo gotico. Eco riutilizza questo espediente nel suo romanzo Il cimitero di Praga.

A differenza di Manzoni però, che utilizzò l'espediente del manoscritto per attribuire veridicità storica al suo romanzo e per potersi distaccare dalla vicenda (in quanto non inventata da lui e non coinvolto) potendo quindi giudicare dall'alto le azioni dei personaggi, Eco inserisce numerosi elementi per far capire al lettore che la storia è fittizia e nulla può essere giudicato vero. Infatti mentre Manzoni trova un manoscritto originale del '600 Eco ne ritrova uno con numerose correzioni che è stato trascritto e tradotto numerose volte, con i conseguenti errori di copiatura e traduzione a cui tutti i manoscritti sono sottoposti, si perde così il vero storico.


Storia editoriale


Eco aveva già un rapporto di lunga data con la Bompiani, che aveva pubblicato tutti i suoi lavori precedenti e che avrebbe preso Il nome della rosa "a scatola chiusa". Tuttavia pensò in un primo momento di consegnarlo all'editore Franco Maria Ricci per farlo pubblicare con una tiratura limitata di mille copie in un volume raffinato[11]. La notizia che Eco aveva scritto un romanzo si sparse però velocemente e l'autore ricevette molteplici proposte dalla Einaudi e dalla Mondadori che vedevano del potenziale ne Il nome della rosa. A quel punto Eco tornò sui suoi passi e decise che tanto valeva lavorare con il suo editore storico[11]. Così nel 1980 il romanzo fu pubblicato da Bompiani con una tiratura di 30 000 copie[6]. La prosecuzione delle vendite fu "via via stimolata dal conseguimento di premi letterari a partire dal premio Strega 1981 e altri, dalle notizie sulle traduzioni e sul loro successo all'estero, in particolare negli Stati Uniti"[23].

Il romanzo è stato più volte ristampato nel corso degli anni ed è arrivato a vendere circa 50 milioni di copie in Italia e nel resto del mondo, dove è stato tradotto in oltre 40 lingue[1]. Nel 2002 fu oggetto di un curioso fenomeno, grazie al lancio di un'iniziativa editoriale del quotidiano La Repubblica che lo distribuì gratuitamente in oltre un milione di copie.

Nel 2011 Eco rivisitò Il nome della rosa effettuando delle modifiche che portarono il libro ad allungarsi di 18 pagine[24]. Questo lavoro di correzione generò critiche controverse, tra cui quella di Pierre Assouline di Le Monde, che accusò l'autore di voler abbassare il livello del romanzo e semplificarne la lingua per andare incontro alle generazioni digitalizzate[25]. Eco respinse le accuse affermando che il suo era stato solo un piccolo lavoro di "cosmesi"[6], volto soprattutto a sveltire certi passaggi per preservare il ritmo della narrazione; eliminare certe ripetizioni; togliere degli errori che da anni gli pesavano e modificare leggermente l'aspetto fisico dei personaggi, che erano a suo dire "troppo grotteschi"[6][24].

Anche a causa della sua peculiare struttura, fatta di citazioni di altri testi, il romanzo è stato accusato più o meno apertamente di plagio nei confronti di vari libri. Nel 1989 venne avanzata nei confronti di Umberto Eco un'accusa formale da parte di uno scrittore cipriota, il quale sosteneva che alcuni contenuti del libro erano ripresi da un proprio romanzo, dove due personaggi entravano in un monastero e discutevano con l'abate dell'Apocalisse. Tuttavia le numerose differenze tra la storia cipriota, che si svolgeva ai giorni nostri, e la scarsa rilevanza del colloquio, che occupava solo poche pagine, condusse alla sentenza di un tribunale cipriota, che scagionò lo scrittore italiano assolvendolo nel 1992[26]. Riguardo alla traduzione in lingua araba del romanzo, nel 1998 Ahmed Somai, primo traduttore tunisino, accusò di plagio il firmatario della edizione egiziana, Kamel Oueid El - Amiri[27].


Postille


Nel 1983 Umberto Eco pubblicò, attraverso la rivista Alfabeta, le Postille al Nome della rosa, un saggio col quale l'autore spiega il percorso letterario che l'aveva portato alla stesura del romanzo, fornendo chiarimenti su alcuni aspetti concettuali dell'opera. Le Postille al Nome della rosa sono state poi allegate a tutte le ristampe italiane del romanzo successive al 1983[11].

Nel paragrafo intitolato "Il Postmoderno, l'ironia, il piacevole", Eco afferma che il "post-moderno è un termine buono à tout faire". Inoltre, secondo l'autore, il postmoderno è sempre più retrodatato: mentre prima questo termine si riferiva solamente al contesto culturale degli ultimi vent'anni, oggi viene impiegato anche per periodi precedenti. Tuttavia per Eco il post-moderno non è "una tendenza circoscrivibile cronologicamente, ma una categoria spirituale, un Kunstwollen, un modo di operare". "Potremmo dire che ogni epoca ha il proprio post-moderno, così come ogni epoca avrebbe il proprio manierismo". In ogni epoca si giunge a momenti in cui ci si accorge che "il passato ci condiziona, ci sta addosso, ci ricatta". All'inizio del Novecento, per questi motivi, l'avanguardia storica cerca di opporsi al condizionamento del passato, distruggendolo e sfigurandolo. Ma l'avanguardia non si ferma qui, procede fino all'annullamento dell'opera stessa (il silenzio nella musica, la cornice vuota in pittura, le pagine bianche in letteratura etc). Dopo ciò "l'avanguardia (il moderno) non può più andare oltre". Dunque siamo costretti a riconoscere il passato e a prenderlo con ironia, ma senza ingenuità. "La risposta post-moderna al moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente"[28].


Piani di lettura


«[...] Mi avvedevo ora che si possono sognare anche dei libri, e dunque si possono sognare dei sogni.»

(Umberto Eco, op. cit., p. 440)
Il nome della rosa (omaggio del pittore William Girometti ad Umberto Eco)
Il nome della rosa (omaggio del pittore William Girometti ad Umberto Eco)

Attribuire un genere letterario al romanzo di Eco è assai difficile: esso infatti è stato particolarmente apprezzato per la presenza di molteplici piani di lettura, che possono essere colti dal lettore a seconda della sua preparazione culturale. Pur presentandosi come un giallo, o come un romanzo storico ad una lettura superficiale, il libro è in realtà costruito attraverso una fitta rete di citazioni tratte da numerose altre opere letterarie, dunque è, in un certo senso, un libro fatto di altri libri[12]. È costante il riferimento linguistico e semiologico. È anche presente, appena sotto la superficie, una forte componente esoterica, e di fondo la storia può essere vista come una riflessione filosofica sul senso e sul valore della verità e della sua ricerca, da un punto di vista strettamente laico, tema del resto comune alle opere successive di Eco.

Nel piano di lettura storico presente nel romanzo, i personaggi e le forze che nella vicenda narrata si contrappongono rappresentano in realtà due epoche e due mentalità che in quel periodo storico si sono trovate a fronteggiarsi: da un lato il medioevo più antico, col suo fardello di dogmi, preconcetti e superstizioni, ma anche intriso di una profonda e mistica spiritualità, dall'altro lato il nuovo mondo che avanza, rappresentato da Guglielmo, con la sua sete di conoscenza, con la predisposizione a cercare una verità più certa e intelligibile attraverso la ricerca e l'indagine, anticipazione di un metodo scientifico che in Europa di lì a poco non tarderà ad affermarsi.

L'autore usa un espediente narrativo e così il romanzo scritto da Umberto Eco è in realtà una narrazione al quarto livello di incassamento, dentro ad altre tre narrazioni: Eco dice di raccontare ciò che ha trovato nel testo di Vallet, che a sua volta diceva che Mabillon ha detto che Adso disse... In questo senso Eco non fa che riproporre un artificio letterario tipico dei romanzi inglesi neogotici, e utilizzato anche da Alessandro Manzoni per I promessi sposi.

Un ulteriore piano di lettura vede il romanzo come un'allegoria delle vicende italiane contemporanee o di poco precedenti all'uscita de Il nome della rosa, ovvero la situazione politica degli anni settanta, con le diverse parti in causa a rappresentare sì l'evolversi politico e spirituale legato al dibattito sulla povertà nel Trecento, ma anche le diverse correnti di pensiero o situazioni proprie degli anni di piombo: Papa Giovanni XXII e la corte avignonese a rappresentare i conservatori, Ubertino da Casale e i francescani nel ruolo dei riformisti, Fra Dolcino e i movimenti ereticali medievali in quello dei gruppi, armati e no, legati all'area extraparlamentare[29].


Critica


Nonostante gli apprezzamenti e il suo successo editoriale, Eco lo considerava un libro sopravvalutato e si dispiaceva che i lettori vi siano così affezionati, quando gli altri suoi romanzi sono, a suo dire, migliori:

«Io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti sei, gli ultimi cinque sono naturalmente i migliori, ma per la legge di Gresham, quello che rimane più famoso è sempre il primo[9]

La stampa italiana e internazionale, invece, accolse con grande entusiasmo Il nome della rosa e molti critici scrissero parole d'elogio per l'opera di Eco.

«Il libro più intelligente — ma anche il più divertente — di questi ultimi anni.»

(Lars Gustafsson, Der Spiegel)

«Il libro è così ricco che permette tutti i livelli di lettura... Eco, ancora bravo!»

(Robert Maggiori, Libération)

«Brio ed ironia. Eco è andato a scuola dai migliori modelli.»

(Richard Ellmann, The New York Review of Books)

«Quando Baskerville e Adso entrarono nella stanza murata allo scoccare della mezzanotte e all'ultima parola del capitolo, ho sentito, anche se è fuori moda, un caratteristico sobbalzo al cuore.»

(Nicholas Shrimpton, The Sunday Times)

«Nel filone dei racconti filosofici di Voltaire.»

(L'Express)

«È riuscito a scrivere un libro che si legge tutto d'un fiato, accattivante, comico, inatteso...»

(Mario Fusco, Le Monde)

«Mi rallegro e tutto il mondo delle lettere si rallegrerà con me, che si possa diventare bestseller contro i pronostici cibernetici, e che un'opera di letteratura genuina possa soppiantare il ciarpame... L'alta qualità e il successo non si escludono a vicenda.»

(Anthony Burgess, The Observer)

«L'impulso narrativo che guida il racconto è irresistibile.»

(Franco Ferrucci, The New York Times Book Review)

«Benché non corrisponda ad alcun genere (logicamente non può, deve essere a-generico) è meravigliosamente interessante.»

(Frank Kermode, The London Review of Books)

Non sono mancate tuttavia voci più critiche in ambito cattolico, in particolare riguardo all'attendibilità storica del romanzo e alla relativa rappresentazione del cattolicesimo medievale:

«[...] presentazione prima letteraria e poi cinematografica di un Medioevo falsificato ed elevato a "simbolo ideologico"; i temi della più trita polemica anticattolica di sempre, il cui scopo "positivo" si compendia nell'apologia della modernità come carattere specifico del mondo contemporaneo.»

(Massimo Introvigne, Cristianità n. 15, febbraio 1987[30])

«Mini-museo antireligioso posto dall'altra parte di una cortina di ferro sempre presente.»

(Régine Pernoud, 30 Giorni, gennaio 1987)

«[...] un romanzo bello e falso come Il Nome della Rosa, che in materia di Medioevo esprime un’attendibilità storica inferiore ai fumetti di Asterix e Obelix.»

(Mario Palmaro, La Bussola Quotidiana, settembre 2011)

Pare che anche Ken Follett non abbia apprezzato il libro, trovandolo troppo noioso e descrittivo, e preferendo alla sua scrittura quella di Dan Brown.[31]


Premi e riconoscimenti


Il 9 luglio 1981, otto mesi dopo la pubblicazione del libro, Il nome della rosa vinse il Premio Strega, il più alto riconoscimento letterario in Italia[32][33]. Nel mese di novembre 1982 ottenne in Francia il Prix Médicis nella categoria opere straniere[34]. Nel 1983 il romanzo entrò nell'"Editors' Choice" del The New York Times[35], nel 1999 fu selezionato tra "I 100 libri del secolo" dal quotidiano francese Le Monde e nel 2009 fu inserito nella lista dei "1000 romanzi che ognuno dovrebbe leggere" dal quotidiano inglese "The Guardian"[36].


Influenza culturale



Errori


Alcuni errori storici presenti sono molto probabilmente parte dell'artificio letterario, la cui contestualizzazione è documentabile nelle pagine del libro che precedono il prologo, in cui l'autore afferma che il manoscritto su cui è stata successivamente svolta la traduzione in italiano corrente conteneva interpolazioni dovute a diversi autori dal medioevo fino all'epoca moderna.[39] Eco inoltre ha segnalato di persona alcuni errori ed anacronismi che erano presenti nelle varie edizioni del romanzo fino alla revisione del 2011:

Presente ancora nella Nota prima del prologo, nella quale Eco cerca di collocare le ore liturgiche e canoniche:


Trasposizioni



Cinema


Lo stesso argomento in dettaglio: Il nome della rosa (film).

Dal romanzo di Eco il regista Jean-Jacques Annaud ha tratto un omonimo film, interpretato da Sean Connery (Guglielmo da Baskerville), F. Murray Abraham (Bernardo Gui), Christian Slater (Adso) e Ron Perlman (Salvatore).

Dal romanzo di Eco i registi Francesco Conversano e Nene Grignaffini hanno realizzato il documentario La Rosa dei Nomi, che attraverso le parole di Umberto Eco racconta il processo della scrittura del libro e con Jean-Jacques Annaud la trasposizione dal libro al film.[40]


Radio


Nel 2005 Rai Radio 2 ha trasmesso un adattamento radiofonico in 35 puntate del romanzo, disponibile in formato RealAudio sul sito RAI[41].


Teatro


Nel 2017 una versione teatrale di Stefano Massini, con la regia di Leo Muscato[42].


Televisione


Lo stesso argomento in dettaglio: Il nome della rosa (miniserie televisiva).

Una miniserie televisiva composta da otto puntate da 50 minuti è andata in onda su Rai 1 nel marzo 2019; prodotta dalla Rai in collaborazione con 11 Marzo Film, Palomar e Tele München Group, è diretta da Giacomo Battiato, girata in inglese, e sviluppa alcune storie accennate marginalmente nel romanzo. La serie vanta un cast internazionale: John Turturro e Rupert Everett sono i protagonisti nei panni rispettivamente di Guglielmo da Baskerville e l'inquisitore Bernardo Gui, con Michael Emerson, Sebastian Koch, James Cosmo, Richard Sammel, Fabrizio Bentivoglio, Greta Scarano, Stefano Fresi e Piotr Adamczyk.[43]


Altro


Dal romanzo fu tratto negli anni ottanta uno dei più famosi videogiochi spagnoli per la piattaforma MSX, La abadía del crimen[44], presto convertito per altri sistemi operativi come Amstrad e, negli anni duemila, per PC/Windows. Nel videogioco, il nome del personaggio principale è stato cambiato in Guglielmo di Occam.

Nel 2008 uscì una avventura grafica punta e clicca dal titolo Murder in the Abbey sviluppata dalla software house spagnola Alcachofa Soft, liberamente ispirata alle vicende del libro di Eco. In questo caso il personaggio di Guglielmo da Baskerville è sostituito da un monaco di nome Leonardo da Toledo e il suo assistente Bruno si sostituisce al personaggio di Adso.


Edizioni



Note


  1. Eco rivede Il nome della rosa, in la Repubblica, Roma, 15 luglio 2011, p. 49. URL consultato il 25 gennaio 2014.; The Best Selling Books of All Time, su ranker.com.
  2. Molti scrittori, nei secoli passati, usarono la finzione letteraria del manoscritto ritrovato. Tra di essi Alessandro Manzoni ne I Promessi sposi.
  3. Umerto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980, pag. 30.
  4. Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980, p.152.
  5. Umberto Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980, p.523.
  6. Paolo Di Stefano, Eco: così ho rivisto "Il nome della rosa" ma salvatemi dai critici militanti, in Corriere della Sera, 31 gennaio 2012. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  7. Varagine è infatti il nome latino e alto-medievale di Varazze, e Jacopo è anche noto come Jacopo da Varagine.
  8. (EN) Lila AzamZanganeh, Umberto Eco, The Art of Fiction No. 197, su theparisreview.org, The Paris Review. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  9. Infodem TV, Umberto Eco Odio 'Il nome della rosa', è il mio peggior romanzo, su YouTube. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  10. Gaither Stewart, Il sogno medievale (parte 2), su Cyberitalian.it. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  11. Antonio Gnoli, Eco "Così ho dato il nome alla rosa" (PDF), in la Repubblica, 9 luglio 2006. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  12. Umberto Eco, Postille al Nome della rosa, Bompiani, 1983.
    «Si fanno libri solo su altri libri e intorno ad altri libri. […] I libri parlano sempre di altri libri e ogni storia racconta una storia già raccontata. Lo sapeva Omero, lo sapeva Ariosto, per non dire di Rabelais o di Cervantes.»
  13. Tina Borgognoni Incoccia, I nomi e le rose, su repubblicaletteraria.it, 16 aprile 2001. URL consultato il 25 gennaio 2013.
    «Sembra infatti proprio "la parola" il tema dominante del racconto, annunciato fino dal titolo Il nome della rosa, presente con intonazioni diverse nei punti strategici della narrazione. "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio", leggiamo all'inizio del romanzo. I nomi sono segni di segni, con i quali l'uomo tenta di dare un ordine al mondo. Il semiologo Umberto Eco non ha scritto soltanto per divertirsi e divertirci con gli stereotipi del romanzo storico, poliziesco, fantastico. Ha scritto il romanzo filosofico della parola, della sua forza e dei suoi limiti e dell'uso negativo o positivo che l'uomo può farne [...] Il romanzo della parola ne sfiora anche un aspetto fantastico e perturbante. Certe profezie apocalittiche di sventura sembrano prendere corpo per la sola tragica forza evocativa delle parole, quasi non sia più possibile prevedere e arrestare lo sviluppo di un processo di distruzione, una volta che sia messo in moto da una intelligenza malefica.»
  14. http://www.griseldaonline.it/dibattiti/il-punto-critico/eco-sciascia-il-nome-della-rosa-somiglianze-franchi.html
  15. Gv 1,1-2, su laparola.net.
  16. 1 Cor 13,12, su laparola.net.
  17. Giacomo Alessandroni, Memoria. Marco Beck ricorda Italo Alighiero Chiusano, in Letture, n. 614, febbraio 2005. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  18. Dario Reteuna, Sacra di San Michele, su santambrogio.valsusainfo.it, Valsusainfo.it. URL consultato il 25 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 12 ottobre 2013).
  19. Massimo Polidoro, Atlante dei luoghi misteriosi d'Italia, Giunti, 2018, ISBN 978-88-587-8114-2.
  20. Sacra di S. Michele - Elogi in tre lingue, in La Stampa, n. 50, 1996, p. 43.
  21. Svizzera, Touring editore, 2014, p. 234
  22. Daniele Luttazzi, Note a Lolito, Chiarelettere, 2013.
  23. Oreste Del Buono, O.d.B. AMICI MAESTRI. GLI SCRITTORI '45/'95 LE STORIE L'editoria dà i numeri con il fenomeno Eco Dodici milioni di copie fra ‹Rosa› e ‹Pendolo›, in La Stampa, 8 aprile 1995.
  24. Maurizio Bono, Eco: così ho corretto Il nome della rosa, in La Repubblica, 5 settembre 2011. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  25. Paolo Di Stefano, L'arte di rifare, in Corriere della Sera, 29 agosto 2011-5 settembre 2011. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  26. Plagio? Assolto Eco, in Corriere della Sera, 29 settembre 1992, p. 19. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  27. Plagio? Assolto Eco, in Corriere della Sera, 29 settembre 1992, p. 19. URL consultato il 25 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2014).
  28. Umberto Eco, Postille al Nome della rosa, Bompiani, 1983.
  29. Alessandra Fagioli, Il romanziere e lo storico, in Lettera Internazionale, n. 75, 2003. URL consultato il 25 gennaio 2014.
    «Per fare un esempio, scrivevo "Il nome della rosa", dove il mio unico interesse era mettere in scena una complessa trama poliziesca all'interno di un'abbazia, che poi ho deciso di situare nel Trecento perché mi erano capitati alcuni documenti estremamente affascinanti sulle lotte pauperistiche dell'epoca. Nel corso della narrazione mi accorsi che emergevano – attraverso questi fenomeni medievali di rivolta non organizzata – aspetti affini a quel terrorismo che stavamo vivendo proprio nel periodo in cui scrivevo, più o meno verso la fine degli anni settanta. Certamente, anche se non avevo un'intenzione precisa, tutto ciò mi ha portato a sottolineare queste somiglianze, tanto che quando ho scoperto che la moglie di Fra' Dolcino si chiamava Margherita, come la Margherita Cagol moglie di Curcio, morta più o meno in condizioni analoghe, l'ho espressamente citata nel racconto. Forse se si fosse chiamata diversamente non mi sarebbe venuto in mente di menzionarne il nome, ma non ho potuto resistere a questa sorta di strizzata d'occhio con il lettore.»
  30. Massimo Introvigne, Contro «Il nome della rosa», in Cristianità, vol. 15, n. 142, febbraio 1987, pp. 7-11. URL consultato l'11 febbraio 2022 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2013).
  31. 90 anni di Umberto Eco: cosa ci ha lasciato, su sololibri.net. URL consultato il 5 gennaio 2022.
  32. I Vincitori del Premio Strega, su strega.it. URL consultato il 25 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 4 febbraio 2014).
  33. Stefano Salis, Come si diventa Umberto Eco, in Il Sole 24 Ore. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  34. (ES) Premio en Francia a la primera novela del semiólogo Umberto Eco, in El País, 23 novembre 1982. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  35. (EN) Editors' Choice 1983, in The New York Times, 4 dicembre 1983. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  36. (EN) 1000 novels everyone must read: the definitive list, in The Guardian, 23 gennaio 2009. URL consultato l'11 aprile 2016.
  37. Iron Maiden - Origine delle Canzoni, su digilander.libero.it, digilander.libero.it/ironluca. URL consultato il 25 gennaio 2014.
  38. (EN) Mystery of the Abbey, su daysofwonder.com, Days of Wonder. URL consultato il 25 gennaio 2013.
  39. AA. VV, pp. 424, 428.
  40. LA ROSA DEI NOMI, su moviemovie.it (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2016).
  41. Sceneggiato Il nome della Rosa, su radio.rai.it, Rai. URL consultato il 25 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2014).
  42. Renato Palazzi, «Aulentissima Rosa», Il Sole 24Ore dell'11 giugno 2017
  43. Simone Novarese, l nome della rosa: Michael Emerson entra nel cast, su badtv.it, 7 febbraio 2018. URL consultato il 13 maggio 2018.
  44. (ES) Intervista a Paco Menéndez, su abadiadelcrimen.com, 1989. URL consultato il 25 gennaio 2014.

Bibliografia



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[es] El nombre de la rosa

El nombre de la rosa (título original Il nome della rosa en italiano) es una novela histórica de misterio escrita por Umberto Eco y publicada en 1980.[2]
- [it] Il nome della rosa

[ru] Имя розы

«И́мя ро́зы» (итал. Il nome della rosa) — роман итальянского писателя, профессора семиотики Болонского университета Умберто Эко. Написан на итальянском языке. Роман впервые опубликован в 1980 году в издательстве Bompiani  (итал.) (рус..



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