Il concetto dell'angoscia. Semplice riflessione per una dimostrazione psicologica orientata in direzione del problema dogmatico del peccato originale (in danese Begrebet Angest. En simpel psychologisk-paapegende Overveielse i Retning af det dogmatiske Problem om Arvesynden) è un'opera del filosofo Søren Kierkegaard, pubblicata con lo pseudonimo di Vigilius Haufniensis il 17 giugno 1844, lo stesso giorno di Prefazioni di Nicolaus Notabene e quattro giorni dopo le Briciole filosofiche di Johannes Climacus.
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Il concetto dell'angoscia | |
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Titolo originale | Begrebet Angest |
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Autore | Søren Kierkegaard |
1ª ed. originale | 1844 |
1ª ed. italiana | 1940 |
Genere | saggio |
Sottogenere | filosofia |
Lingua originale | danese |
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Il libro è dedicato a Poul Martin Møller.
Il libro parla di una paura senza fondamento che tortura l'uomo fin dal peccato originale, un'angoscia intesa come possibilità di esercitare la propria libertà e in questo senso anche di mostrarci la via per la salvezza. Questa condizione psichica è fondamentale nell'essere umano perché egli si trova nella sintesi tra infinito e finito, tra eterno e temporale, al confine tra necessità e libertà[1].
Il peccato originale (in danese Arvesynd che si può tradurre "peccato ereditato"[2]) è il primo dei passi che porta l'uomo all'esistenza, intesa come "possibilità" (non più solo "necessità", che pertiene all'essenza), attraverso la perdita dell'innocenza e dell'ignoranza a essa collegata. Ma con l'aiuto della fede – che non è frutto di meditazione razionale o esito di argomentazioni filosofiche, bensì un "salto" – si può evitare la vertigine dell'angoscia e riposare nella Provvidenza.
Il "momento", che è l'eternità riflessa nel presente, dove il tempo e l'eternità si toccano e "il tempo taglia continuamente l'eternità e l'eternità continuamente penetra il tempo"[3], rivela che l'eterno è nel futuro, ovvero nel possibile. Ma anche qui può esserci angoscia, perché la possibilità della libertà si rovescia nel "demoniaco", diventa malinconica e taciturna, chiusa alla comunicazione[4], pronta all'abbrutimento, all'assenza di interiorità. Fenomeni che gli appartengono, anche opposti tra loro, sono l'incredulità e la superstizione, l'ipocrisia e il desiderio di scandalizzare, l'orgoglio e la viltà, anche se essi non sono davvero degli opposti, ma tipici "sotterfugi"[5] del demoniaco. Infatti, "chi, nel rapporto con la colpa, viene educato dall'angoscia, troverà quiete soltanto nella redenzione"[6].
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