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La Storia della Colonna Infame è un saggio storico scritto da Alessandro Manzoni, pubblicato come appendice storica al suo celeberrimo romanzo storico, I promessi sposi (nella sua edizione definitiva del 1840), in una sorta di continuità necessaria, con le illustrazioni di Francesco Gonin alla seconda edizione del 1842. Le vicende narrate sono coeve al periodo storico in cui è ambientato il romanzo, il XVII secolo e in particolare durante la peste di Milano del 1630. All'inizio, Manzoni l'immaginava come una lunga digressione da inserire nel quarto volume della prima edizione del romanzo, titolato Fermo e Lucia: era la cosiddetta Ventisettana, perché uscita nel 1827, e doveva apparire dopo un'altra digressione sui tragici avvenimenti durante la peste di Milano del 1630. Perennemente insoddisfatto delle sue opere, che ripensava, riscriveva e modificava nelle successive edizioni, Manzoni arrivò infine alla conclusione che la Storia fosse troppo lunga, e la appose come appendice alla decima edizione del romanzo, la cosiddetta Quarantana, col titolo che conosciamo ancor oggi. La riflessione manzoniana, caratterizzata da uno spiccato senso morale, indaga l'etica e l'amministrazione della giustizia penale al tempo della dominazione spagnola della Lombardia. Ma parlando dell'antica abiezione, egli ne fa una lezione universale, indagandone gli errori, i terribili abusi e soprusi, realmente accaduti a dei poveri cittadini innocenti. Riportando all'attenzione del lettore le iniquità commesse in questa storia dai singoli e dalla collettività, Manzoni mostra come le persone possano esser traviate da superstizioni e credenze fallaci.

Storia della Colonna Infame
Immagine di Francesco Gonin per l'edizione del 1840
AutoreAlessandro Manzoni
1ª ed. originale1840
Generesaggio
Sottogenerestorico
Lingua originaleitaliano
AmbientazioneMilano durante la peste del 1630

Vicenda storica


Lo stesso argomento in dettaglio: Colonna infame (Milano) e Untore.
La lapide posta in origine presso la Colonna Infame (Milano, Castello Sforzesco)
La lapide posta in origine presso la Colonna Infame (Milano, Castello Sforzesco)

La vicenda narra del processo intentato a Milano, durante la terribile peste del 1630, contro due presunti untori, ritenuti responsabili del contagio pestilenziale tramite misteriose sostanze, in seguito ad un'accusa - infondata - da parte di una "donnicciola" del popolo, Caterina Rosa.

Il processo, svoltosi storicamente nell'estate del 1630, decretò la condanna capitale di due innocenti, Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere), giustiziati con il supplizio della ruota.

A quest'ultimo fu anche distrutta la casa bottega che gli apparteneva. Come monito venne eretta sulle macerie dell'abitazione del Mora la "colonna infame", che dà il nome alla vicenda.

Solo nel 1778 la Colonna Infame, ormai divenuta una testimonianza d'infamia non più a carico dei condannati, ma dei giudici che avevano commesso un'enorme ingiustizia, fu abbattuta. Nel castello Sforzesco di Milano se ne conserva la lapide, che reca una descrizione, in latino seicentesco, delle pene inflitte.


Genesi


«L’ignoranza in fisica può produrre degl'inconvenienti, ma non delle iniquità; e una cattiva istituzione non s'applica da sé»

(Alessandro Manzoni, Introduzione della Storia della Colonna Infame)

Alessandro Manzoni realizzò la Storia della Colonna Infame in un arco di tempo piuttosto lungo. Originariamente legata al romanzo I promessi sposi, la vicenda avrebbe dovuto far parte del V capitolo del IV tomo dell'opera, nella sua prima edizione, resa pubblica con il nome di Fermo e Lucia. Manzoni tuttavia reputò che tale lunga digressione, che faceva séguito a un'altra sui tragici eventi della peste, avrebbe "fuorviato i suoi lettori".[1]

Caratteristica inconfondibile dell'autore è stata la perenne insoddisfazione e la conseguente rivisitazione di tutte le sue opere, atteggiamento che lo porterà a escludere la vicenda della colonna infame con l'intenzione di pubblicarla come appendice storica nella seconda edizione del romanzo. Il brano era infatti decisamente troppo lungo per essere inserito all'interno del romanzo. Manzoni lo pubblicherà in seguito, nel 1840, col noto titolo. Manzoni trasse gran parte delle notizie dal De peste Mediolani quae fuit anno 1630 di Giuseppe Ripamonti, che descrive anche la vicenda della Colonna Infame, che ispirò anche le Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri.

Con questa vicenda, Manzoni vuole affrontare il rapporto tra le responsabilità del singolo e le credenze e convinzioni personali o collettive del tempo. Tramite un'analisi storica, giuridica e psicologica, l'autore cerca di sottolineare l'errore commesso dai giudici e l'abuso del loro potere, che calpestò ogni forma di buonsenso e di pietà umana, spinti da una convinzione del tutto infondata e da una paura legata alla tremenda condizione del tempo provocata dall'epidemia di peste.


Ricezione critica dell'opera


Benedetto Croce fu molto severo verso il Manzoni. L'accusa di antistoricismo verso questa opera di Manzoni venne sviluppata dallo storico Fausto Nicolini vicino per posizioni ed ideologia al Croce.[senza fonte] Le principali critiche mosse dal Nicolini sono:[2]

Una difesa della Storia della colonna infame venne pubblicata da Leonardo Sciascia, che definì i giudici "burocrati del male"[3] e che propose un parallelo tra le vicende del processo e le leggi speciali contro il terrorismo volte ad assicurare l'impunità per i pentiti politici.[4]

Nel suo saggio su Manzoni Carlo Varotti suggerisce una lettura diversa da quella di ispirazione crociana, che riconosca la riflessione del nipote di Beccaria sul problema delle responsabilità di ogni individuo e sulla ammissibilità a giustificare automaticamente i costumi di un certo periodo storico invocando lo "spirito del tempo".[5]

Franco Cordero (nella “Fabbrica della peste”, Laterza, 1983) confuta la tesi manzoniana secondo cui i giudici milanesi agirono ingiustamente anche secondo i criteri legali e morali del tempo. Secondo Cordero quei criteri rispondevano agli imperativi della Controriforma, indicati come retrivi in base all’autorità di Pietro Giannone; Manzoni sarebbe stato influenzato dal surrettizio intento di operare una difesa d’ufficio di quella cultura, di stampo cattolico, mediante la critica della prima ricostruzione della vicenda, offerta da Pietro Verri.


Adattamenti



Edizioni autonome



Note


  1. Lanfranco Caretti, Introduzione a Storia della Colonna Infame, Milano, Mursia, 1973, p. 5.
  2. Fausto Nicolini, Sulla "Storia della colonna infame", in Peste e untori nei «Promessi Sposi» e nella realtà storica, Bari, 1937, pp. 297-341.
  3. L. Sciascia, Storia della colonna infame, in Cruciverba, 1998, pp. 119 e ss.
  4. Nota di Leonardo Sciascia, su sellerio.it.
  5. C. Varotti, Manzoni. Profilo e antologia critica, B. Mondadori, 2006, pp. 197-202.
  6. V.V., La colonna infame, in Il dramma, n. 314, novembre 1962, pp. 83-84.
  7. Dino Buzzati, La colonna infame, in Il dramma, n. 315, dicembre 1962, pp. 33-61.
  8. Lo scritto di Martinazzoli, «Pretesti per una requisitoria manzoniana», fu edito da Grafo Edizioni, Brescia, 1985; La Quadra, 1992; poi come saggio introduttivo alla Storia della Colonna Infame, Periplo, 1997; Morcelliana, 2015

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