La rosa di Bagdad è un film d'animazione del 1949 diretto e prodotto da Anton Gino Domeneghini.
La rosa di Bagdad | |
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Lingua originale | Italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1949 |
Durata | 76 min |
Rapporto | 1,37:1 |
Genere | animazione, avventura, fantastico |
Regia | Anton Gino Domeneghini |
Soggetto | Anton Gino Domeneghini |
Sceneggiatura | Enrico D'Angelo, Lucio De Caro |
Produttore | Cesare Pelizzari, Francesco Manerba (ispettore di produzione) |
Casa di produzione | IMA Film |
Distribuzione in italiano | Artisti Associati |
Fotografia | Cesare Pelizzari |
Montaggio | Lucio De Caro |
Musiche | Riccardo Pick Mangiagalli |
Scenografia | Libico Maraja |
Doppiatori originali | |
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È il primo film italiano in Technicolor[1] (titolo conteso da I fratelli Dinamite di Nino Pagot, uscito lo stesso anno). Nonostante sia considerato da alcuni[2] il primo lungometraggio d'animazione europeo, è in realtà il secondo in quanto nel 1926 venne prodotto Achmed, il principe fantastico di Lotte Reiniger[3][4]; tuttavia, questo primato è controverso in quanto quest'ultimo utilizzava silhouette in movimento, e non disegni animati.
Nel 2009 è stato distribuito un documentario interamente dedicato al film, intitolato Una rosa di guerra, diretto da Massimo Becattini.
La principessa Zeila, figlia del califfo di Bagdad, è in procinto di sposarsi, per scegliere i pretendenti vengono invitati i principi dei paesi vicini. Il perfido visir Jafar, che vede nel matrimonio con Zeila il mezzo per impadronirsi del regno, ben sapendo che la principessa non acconsentirebbe mai alle nozze, pianifica di infilarle al dito un anello stregato che la farà innamorare di lui. Amin, il giovane maestro di musica della principessa, scopre il piano e ruba l'anello; Jafar però lo imprigionerà in un castello e il mago Burk con un incantesimo lo renderà scuro di pelle, e quindi irriconoscibile perfino a sua madre. Neanche i tre ministri consiglieri del sultano, i buffi Zirco, Tonko e Zizzibè, bonaccioni e altrettanto pasticcioni, riescono a proteggere la principessa e cadono essi stessi vittime di un maleficio che li rende innocui. Ma la bontà di Amin verrà premiata, infatti una sconosciuta mendicante, a cui aveva fatto la carità, gli regalerà la lampada di Aladino e con l'aiuto del genio il ragazzo riuscirà a sconfiggere il cattivissimo visir e liberare la principessa con cui convola a nozze.
Dopo aver visto Biancaneve e i sette nani, Anton Gino Domeneghini ne rimase molto colpito e pensò che anche l'Italia potesse produrre un lungometraggio animato. Attraverso la sua rete di conoscenze Domeneghini riuscì a reperire i fondi necessari per la realizzazione, provienienti anche dal Ministero della cultura popolare. Dopo i bombardamenti del 1942 la sede della IMA Film venne in gran parte distrutta e la produzione si spostò nella Villa Fè d'Ostiani e a Villa Secco a Bornato, in Franciacorta. Una volta terminati i disegni, tutto il materiale venne spedito nel Regno Unito per la ripresa in Technicolor presso gli studi di Anson Dyer Stratford Abbey Films a Stroud, gli unici di quella tipologia disponibili a quel tempo in tutta l'Europa occidentale e che furono utilizzati anche da Walt Disney per L'isola del tesoro[5]. Nel complesso ci vollero sette anni di lavoro per terminare la realizzazione de La rosa di Bagdad[6].
Presentato nel 1949 alla 10ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, venne distribuito nelle sale italiane nel 1950.
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Questa sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.
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