Memnone (AFI: /ˈmɛmnone/[1]; forma antiquata Mennone, /ˈmɛnnone/ o /menˈnone/[2]; in greco antico: Μέμνων, Mémnōn, "colui che tiene duro"[3]) è un personaggio della mitologia greca e rappresenta la personificazione del giorno. Re di Persia e d'Etiopia, si schierò dalla parte dei Troiani nell'ultimo anno della guerra di Troia, dove perì per mano di Achille.
Sotto questo nome esistono anche i Colossi di Memnone, statue monumentali situate presso Tebe, in Egitto ma che rappresentano in realtà il faraone Amenofi III.
Era universalmente ritenuto un essere semidivino, figlio di Titone - uno dei fratelli del re troiano Priamo - [4] e di Eos[4] (l'Aurora). Non sono invece noti nomi di spose o progenie. Omero parla di Memnone nell'Odissea come il più bello tra tutti i guerrieri che presero parte alla guerra di Troia. Le sue gesta erano narrate anche nel poema Etiopide, di cui non ci è rimasto quasi nulla. Eschilo gli dedicò una trilogia, andata interamente perduta; in una delle tre tragedie, la Psicostasia, interveniva Zeus (cosa insolita per un pezzo teatrale), che pesava su una bilancia i destini di Memnone e Achille.
Fratello minore di Emazione (la personificazione della notte), come lui aveva la pelle color scuro (perché quando erano piccoli con la madre Eos avevano accompagnato ogni giorno in cielo il cocchio del Sole): i due per il resto erano diversissimi in tutto poiché Emazione era un uomo brutale ed efferato, mentre Memnone una persona leale e non crudele verso i popoli sottomessi[5]. Emazione divenne re dell'Etiopia e si scontrò con Eracle quando questi, dopo aver ucciso Busiride in Egitto, stava discendendo lungo il fiume Nilo. Memnone, che a quel tempo era ancora un fanciullo, regnava invece nella città persiana di Susa dove viveva in un enorme palazzo di pietre bianche e gemme colorate fatto costruire dal padre Titone che, in precedenza era emigrato da Troia nel Vicino Oriente dove aveva poi fondato la città. Gli abitanti di Susa furono poi chiamati Cissi, dal nome della madre adottiva di Memnone, Cissia[6]. Divenuto re, Memnone espanse i confini del suo regno conquistando moltissimi territori ma non Troia, dominio dello zio Priamo.
Memnone era stato allevato dalle Esperidi[7] ed il suo palazzo, che si ergeva in cima ad un Acropoli, per lunghissimi anni rimase in piedi, sino alla conquista persiana.[8] Dopo aver ucciso Emazione, Eracle affidò il regnò d'Etiopia a Memnone, che ampliò così il suo già grandissimo dominio. Si racconta che il secondo palazzo di Memnone, quello di Etiopia, dove peraltro egli soggiornò poco, sia ancora in parte visibile.
Quando Ettore morì nel duello contro Achille, Memnone fu convocato come alleato a Troia, portando con sé 20.000 etiopi, 2.000 susiani, un imprecisato numero di indiani e un'armatura forgiata dallo stesso Efesto. Ad essi si aggiunsero i guerrieri mandati dal re assiro Teutamo, suo amico: mille uomini tra susiani, assiri e indiani, con duecento carri. La strada percorsa da Memnone per arrivare a Troia è ancora oggi solcata da piccoli spiazzi in cui eresse le tende. Si sostiene che egli raggiunse Troia attraversando l'Armenia in testa a un poderoso numero di persiani, etiopi ed indiani, mentre un secondo esercito comandato da Falanto, su suo ordine, salpava dalla Fenicia.
Sotto le mura di Troia dimostrò coraggio e valore, uccidendo diversi guerrieri achei e arrivando a ferire Aiace Telamonio (fu forse l'unico nemico a riuscirci veramente). Inseguì il carro di Nestore, il cui auriga era stato ucciso da Paride, e ammazzò Antiloco che era accorso in aiuto del padre. Il corpo del giovane fu dunque preso dai guerrieri etiopi ma, prima che fosse spogliato delle armi, fu recuperato da Achille, particolarmente affezionato ad Antiloco.
«Oggi, spero che sia tu a morire, venga il tuo destino oscuro, sotto la mia lancia. |
(Commento di Memnone ad Achille. Quinto Smirneo, Posthomerica, libro II, versi 516-521.) |
Memnone duellò dunque contro il Pelide e si dimostrò un guerriero non inferiore a lui (le armi divine che possedeva riuscirono perfino a scalfire la pelle di Achille che, come noto, era vulnerabile solo nel tallone) ma alla fine venne decapitato dal suo nemico. L'esercito etiope, rimasto senza un condottiero, si disperse, e tutti i suoi guerrieri fuggirono da Troia. Eos pianse molto la morte del figlio, il cielo fu ricoperto da nubi, il suo pianto disperato formò la rugiada. Per volere di Zeus dalle ceneri di Memnone, che era stato bruciato sullo stesso rogo di Antiloco, nacquero due schiere di uccelli immortali (detti "Memnonidi") che ogni anno combattono fra loro sul cielo di Troia. Una statua colossale, eretta sulle rive del Nilo, che in realtà raffigurava il faraone Amenofi III, fu identificata con l'eroe e ogni mattina, al levarsi dell'aurora, emetteva un suono misterioso come per salutare la madre[9].
Stando alle fonti, nei combattimenti, Memnone uccise un totale di tre tra gli eroi nemici:
Nel suo Eroico, Filostrato nega che Memnone abbia mai partecipato alla guerra di Troia: il semidio sarebbe morto in Etiopia dopo un'esistenza pari a quella di cinque generazioni.
Il Langfeðgatal, una genealogia islandese dei re scandinavi del XII secolo, fa di Thor, qui descritto come Tror, un figlio di Memnone, suggerendo così un'origine troiana degli dei norreni, e connettendo la genealogia degli Aesir a quelle contenute nei miti greci[10].
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