Lucio Tarquinio Prisco (in latino: Lucius Tarquinius Priscus; Tarquinia, ... – 579 a.C.) originario di Tarquinia in Etruria,[8] è stato il quinto re di Roma[9] secondo la cronologia di Tito Livio, che regnò per trentotto anni (dal 616 al 579 a.C.)[7][10].
Tarquinio Prisco | |
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5º Re di Roma | |
In carica | 616 a.C. - 579 a.C. |
Predecessore | Anco Marzio[1][2][3] |
Successore | Servio Tullio[4][5][6] |
Nome completo | Lucio Tarquinio Prisco[7] |
Nascita | Tarquinia |
Morte | 579 a.C. |
Dinastia | Tarquini |
Coniuge | Tanaquilla[6] |
Figli | Tarquinio il Superbo[8] Arunte Tarquinio |
Secondo la tradizione Lucio Tarquinio Prisco era nato a Tarquinia da madre etrusca, ma era greco per parte di padre (Demarato era originario della città greca di Corinto[8][9][11] da dove era fuggito per stabilirsi poi a Tarquinia[2][8]) ed a causa dell'ascendenza paterna, nonostante fosse ricco e noto in città, veniva osteggiato dai suoi concittadini e non riusciva ad accedere alle cariche pubbliche.[12] Per questi motivi, e su consiglio di sua moglie Tanaquilla, decise quindi di emigrare da Tarquinia a Roma,[2][12] dove cambiò nome, dall'etrusco Lucumone[2][8] al più latino Lucio Tarquinio detto poi Prisco[8] per distinguerlo dall'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Delle sue qualità Floro dice:
«[...] riuniva in sé il genio greco con le qualità italiche.» |
(Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 5.1.) |
Al suo arrivo a Roma, nei pressi del Gianicolo, dove arrivò a bordo di un carro, accadde un fatto eccezionale; un'aquila prima gli portò via il berretto, poi tornò indietro e lo fece cadere sulla sua testa. Tanaquilla, che in quanto etrusca conosceva l'arte di interpretare i segni del cielo, interpretò questo fatto come il segno di future grandezze per il marito.
In città Tarquinio si fece notare per le sue qualità e la sua generosità, tanto che Anco Marzio volle conoscerlo e, una volta divenuto amico, prima lo fece entrare tra i suoi consiglieri,[2] poi decise di adottarlo, affidandogli il compito di proteggere i suoi figli. Secondo alcuni studiosi come Giuseppe Valditara, ricoprì anche la carica di magister populi. Alla morte del re, Tarquinio riuscì a farsi eleggere re dal popolo romano come figlio di Anco Marzio salendo al potere in seguito a una congiura contro lo stesso Anco.[2]
La sua abilità militare fu subito messa alla prova da un attacco sferrato dai Sabini; l'attacco fu respinto dopo sanguinosi combattimenti nelle strade della città, portando non pochi territori di queste genti vinte sotto il controllo di Roma.[7] Fu in questa occasione che fu aumentato il numero di cavalieri che ognuna delle tre tribù (Ramnes, Tities e Luceri) doveva fornire all'esercito.
Tarquinio poi combatté i Latini[13][14], destinandoli a sorte diversa a seconda se avessero combattuto contro i romani, o se si fossero arresi dopo essersi ribellati. E così che distrusse Apiolae[15] e conquistò Collatia, che diventò colonia romana governata dal nipote Egerio,[16] fu più clemente con Crustumerium[17] e Nomentum.[18]
Quindi combatté contro una coalizione di Latini ed Etruschi[19] delle città di Chiusi, Arezzo, Volterra, Roselle e Vetulonia[20] corsi in aiuto dei Latini. Lo scontro si risolse, a seguito di due durissime battaglie campali, a favore dei romani, che ebbero la meglio sulla coalizione nemica,[21] con i Latini che ottennero la pace dietro il pagamento dei danni e la restituzione di quanto depredato.[22]
Gli scontri continuarono però anche nei due anni successivi, questa volta però contro una coalizione di Etruschi e Sabini, fino a che i romani sbaragliarono i due campi nemici, che erano stati eretti alla confluenza tra il Tevere e l'Aniene nei pressi di Fidenae, con uno stratagemma. In seguito a questa sconfitta i Sabini concordarono con i romani una tregua di sei anni, contrariamente agli Etruschi, che occuparono Fidenae con una propria guarnigione, avendo intenzione di continuare gli scontri.[23] Gli scontri tra i Romani e gli Etruschi di Veio e Caere durarono altri sette anni e si risolsero con un grande scontro campale presso la città sabina di Eretum, vinto dai romani. In seguito a questo scontro gli etruschi si arresero ai romani e presentarono a Tarquinio Prisco i segni del potere delle proprie città, Fasci Littori e Sedie Curuli, come segno di resa.[24]
Attuò una riforma che riguardò la classe dei cavalieri, aumentandone gli effettivi.[14] Egli decise di raddoppiare il numero delle centurie (fino ad allora in numero di tre), o comunque aumentarne gli effettivi[25], e di aggiungerne altre a cui diede un nome differente[26]. Queste ultime furono chiamate posteriores[27] o sex suffragia[28], portando così il totale dei cavalieri a 600.[27]
Tarquinio riformò anche lo stato, aumentando il numero dei membri dell'assemblea centuriata[25] a 1.800 componenti (contro il parere di un certo Attio Nevio[25]) e raddoppiando (o comunque aumentando[25]) il numero di senatori, dai 100 membri romulei ai 200,[7] aggiungendone comunque altri 100.[14]
Fu Tarquinio che per primo celebrò un trionfo su un cocchio dorato a quattro cavalli[29] in Roma, vestito con una toga ricamata d'oro ed una tunica palmata (con disegni di foglie di palma),[29] vale a dire con tutte le decorazioni e le insegne per cui risplende l'autorità del comando.[8][29] E sempre a lui si deve l'introduzione in città di usanze tipicamente etrusche, relative alla sua posizione regale, come i riti sacrificali,[8] la divinazione,[8] la musica per le pubbliche manifestazioni,[8] le trombe (tubae),[8] gli anelli,[29] lo scettro, il paludamentum,[29] la trabea,[29] la sella curule,[29] le falere,[29] toga pretesta[29] ed i fasci littori[8][29] e le asce.[8]
Grazie alle fortunate guerre intraprese contro le vicine popolazioni, riuscì a rimpinguare le casse statali con i ricchi bottini depredati alle città sconfitte. E sembra che decise di dotare la città di Roma di nuove mura.[7][13][14]
Si occupò anche dei giochi della città,[14] erigendo il Circo Massimo[7][13] e destinandolo come sede permanente delle corse dei cavalli, istituendo i ludi Romani;[7] prima di allora gli spettatori assistevano alle gare, che qui si svolgevano, seduti da postazioni di fortuna.
In seguito a forti alluvioni, che interessarono specialmente le zone dove sarebbe sorto il futuro Foro Romano, fece poi iniziare la costruzione della Cloaca Massima.[7][13][14] A lui si deve poi l'inizio dei lavori per la costruzione del tempio di Giove Capitolino sul colle del Campidoglio.[7]
Il maggiore dei figli di Anco Marzio, nella speranza di ottenere il trono che riteneva gli fosse stato usurpato da Tarquinio, organizzò un complotto e lo uccise.[7][10][30] I suoi piani furono però frustrati dall'abile Tanaquilla, che fece in modo che il popolo romano eleggesse suo genero Servio Tullio come sesto re di Roma e successore di Lucio Tarquinio Prisco. Livio Mariani, uno storico che fece parte del Triumvirato della Repubblica Romana e morto nel 1857 ad Atene ed autore della "Storia del Sublacense", afferma che Tarquinio Prisco sia stato tumulato nei pressi di Marano Equo e la sua tomba sia stata rimossa nel 1750 dai Barberini e traslata a Collalto Sabino nel loro castello di cui erano titolari come baroni.
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Predecessore | Re di Roma | Successore | ![]() |
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Anco Marzio | 616 a.C. - 579 a.C. | Servio Tullio |
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