Veltro (Vautre in lingua francese - dal latino "Vertragus", lett. levriero) è un lemma della lingua italiana ormai in disuso usato nel Medioevo per indicare il cane da caccia del tipo levriero.
"Veltro" è parola sostanzialmente caduta in disuso nel corso del XIX secolo.
Celebre, nella letteratura italiana è la c.d. "Profezia del Veltro" che Dante pone all'inizio della Divina Commedia, nei versi 100-111 del I Canto dell'Inferno, in cui Virgilio, riferendosi alla lupa che rappresenta la cupidigia, afferma che:
«Molti son li animali a cui s'ammoglia Questi non ciberà terra né peltro, Di quella umile Italia fia salute Questi la caccerà per ogne villa |
(Inf. I, 100-111) |
In questi versi il veltro rappresenta un'azione di riforma, evidentemente promossa da Dio, che perseguiti la cupidigia in tutte le sue forme ristabilendo in tutto il mondo ordine e giustizia. Il significato letterale è: la lupa (della quale si parlava nei versi precedenti e che rappresenterebbe l'avidità) si accoppia a numerosi animali (forse intesi come altri vizi, oppure, secondo alcuni studiosi, con gli uomini), sempre di più finché il veltro arriverà, e la ucciderà con dolore. Esso non avrà bisogno né di terra né di denaro (peltro), ma di sapienza, amore e virtù, e la sua origine sarà umile. Feltro può essere inteso come panno di poco pregio, ma anche come un'indicazione geografica: tra Feltre e Montefeltro[1].
Il veltro sarà la salvezza (salute) dell'Italia, per la quale morirono Camilla, Turno, Eurialo e Niso (tutti personaggi dell'Eneide). Il veltro caccerà la lupa di città in città, finché la ricaccerà nell'inferno, da dove l'invidia primordiale di Lucifero (il riferimento è alla storia dell'angelo ribelle) l'aveva fatta uscire.
Molti hanno cercato un'identificazione con un personaggio reale (ad es. Cangrande della Scala, Uguccione della Faggiuola), recentemente anche sulla base di un passo della celebre Chanson de Roland dove è menzionato un veltro all'interno di una visione; altri invece hanno pensato genericamente a una carica, ma i versi sono volutamente oscuri.
Le interpretazioni sono varie: c'è chi ha identificato il veltro con Cangrande della Scala, che aveva ospitato Dante durante il suo esilio, chi con Uguccione della Faggiuola, chi con Cristo (la critica mossa contro questa ipotesi è che Dante avrebbe dovuto dire "tornerà" piuttosto che "verrà"), chi con Dante stesso, chi nell'imperatore Enrico VII, primo imperatore a farsi incoronare dal Papa dopo Federico II, e chi infine ritiene Dante si riferisca generalmente ad una carica (il papa, l'imperatore). Un'ipotesi molto particolare, sostenuta dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi, è quella per cui il Veltro sarebbe la stessa Divina Commedia. Una curiosità: tra i primi esegeti della "Commedia", Benvenuto da Imola - che affronta il tema con molto impegno, quasi con sofferenza: "est ergo, reiectis opinionibus vanis, ad istum passum arduum totis viribus insistendum", "respinte le vane opinioni, occorre cimentarsi con ogni energia su questo arduo passo" - finisce col ritenere "quod Virgilius loquatur de Augusto", insomma che Virgilio con la figura allegorica del Veltro voglia indicare Augusto.
È tuttavia oggi ritenuto possibile che Dante non pensasse ad un personaggio particolare, ma piuttosto semplicemente all'azione di riforma in se stessa. Questa possibilità è stata molto recentemente (Lombardi, 2022) rafforzata dal rapportare le tre figure del Veltro, del Messo di Dio in duplice apparizione (Inferno e Purgatorio) e del Veglio di Creta alla figura di Luigi IX di Francia, il Santo, da opporre al nipote Filippo il Bello, che si ciba "di terra e di peltro", con le guerre in Fiandra e contro l'Inghilterra e "falseggiando la moneta", e che Dante identifica in modo apocalittico e gioachimita sette volte con l'Anticristo in sei figure dell'Inferno e nel Gigante del Purgatorio, che muore come la testa del Dragone nell'Apocalisse. La lupa, che muore con "doglia", diventa nella visione di ispirazione gioachimita la Chiesa carnale che genera la Chiesa spirituale nel parto secondo la nota immagine del Venerabile Beda nell'Explanatio in Apocalypsim.
Giovanni Pascoli, nel suo La mirabile visione, conclude che "il veltro […] è l'Augusto che ognun di noi ha dentro noi; l'impero di sè che è quanto dire la sua libertà"[2][3], cioè la coscienza che, diventata consapevole del male (esperienza dell'Inferno), purificata dal peccato (esperienza del Purgatorio) e illuminata dalla Grazia (esperienza del Paradiso), è libera e desiderosa di perseguire il bene. La Divina Commedia sarebbe dunque al contempo l'allegoria e l'esperienza di un cammino spirituale che porta al risveglio dell'Augusto che ciascuno ha in sé.
Francesco Di Montresor detto "Veltro" fu cavaliere di ventura di origini franco-veronesi, accompagnato spesso da un falco ed un levriero con cui andava a caccia fu forse la figura che contribuì ad associare nell'immaginario collettivo l'iconografia del veltro con il mito europeo della Caccia Selvaggia.
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