Bellissima è un film drammatico del 1951 diretto da Luchino Visconti con Anna Magnani e Walter Chiari.
Bellissima | |
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La piccola Tina Apicella con Anna Magnani in una scena del film | |
Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia |
Anno | 1951 |
Durata | 113 min[1] |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,37:1 |
Genere | drammatico |
Regia | Luchino Visconti |
Soggetto | Cesare Zavattini |
Sceneggiatura | Suso Cecchi D'Amico, Francesco Rosi, Luchino Visconti |
Produttore | Salvo D'Angelo |
Casa di produzione | Bellissima Film |
Distribuzione in italiano | CEI Incom |
Fotografia | Piero Portalupi, Paul Ronald |
Montaggio | Mario Serandrei |
Musiche | Franco Mannino, ispirate a temi de L'elisir d'amore di Donizetti |
Scenografia | Gianni Polidori |
Interpreti e personaggi | |
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Maddalena ha una figlia di sei anni, Maria. Maria non è molto bella, ma per sua madre è bellissima, lo dice sempre. Maria ha anche un leggero difetto di pronuncia e Maddalena non lo trova un difetto ma una qualità. Maddalena ha trent’anni, un carattere vivace e deciso. Lavora come guardarobiera alla Rupe Tarpea e guadagna abbastanza, specie quest’anno che ci sono tanti forestieri, poi se ne va a casa tutta sola ogni notte verso l’alba. A casa c’è il marito, un ottimo uomo che fa il ferroviere e proprio all’alba si alza, mentre Maria è appena andata a dormire. Nel casamento dove abita, piazzale Annibaliano, le donne non hanno molta simpatia per Maddalena che è un po’ superba e mette dei nastri sulla testa della figlia che sembrano bandiere.
Un giorno si annuncia un concorso cinematografico: cercano una bambina di sei anni, per un film molto importante. Maddalena pensa che cercano proprio sua figlia e salta le ore del sonno per portarla allo stabilimento dove il regista deve fare la sua scelta.
Sono molte le mamme che si mettono in movimento per la stessa ragione e Maddalena si trova davanti un numero infinito di concorrenti tra le quali alcune del suo quartiere. Questo accende ancora di più l’ambizione di Maddalena che si propone di vincere la battaglia a ogni costo.
E infatti riesce con la sua intraprendenza a far entrare la figlia tra le venti alle quali verrà fatto il provino entro una settimana.
Questa vigilia del provino è una vera settimana di passione per Maddalena. Le hanno detto che il difetto di pronuncia della figlia è un difetto che potrebbe compromettere la sua scelta. Allora la porta all’Istituto di Rieducazione della voce a Monte Sacro e si dichiara disposta a pagare qualsiasi cifra purché compiano il miracolo di togliere il difetto di pronuncia alla bambina in pochi giorni. Ma non basta: va alla scuola di danza della Ruskaia e vorrebbe che dessero alla figlia alcune lezioni accelerate. Ma qui non ci riesce. Allora prende in casa un’attrice che dia rapidi ammaestramenti a Maria. Tutto questo Maddalena deve farlo di nascosto al marito il quale ha la testa sulle spalle, adora la bambina, e se sapesse che Maddalena sottopone Maria a questi ossessionanti strapazzi reagirebbe certo con energia e severità.
Infatti la povera Maria è davvero stanca, ha subito la mania materna perché lei è timida, ma non ha proprio nessuna particolare qualità. Si è messa a piangere un paio di volte e la madre ha fatto quello che non ha mai fatto, le ha dato perfino uno schiaffo perché la bambina non riusciva a ripetere correttamente una battuta.
Arriva il giorno dei provini. Maddalena vorrebbe entrare nel teatro dove si fanno i provini ma è vietato l’ingresso ai familiari dei piccoli candidati. Allora la sua pena è grandissima. Neanche le sue arti riescono a rompere la consegna. Ma intanto non perde il tempo e si informa di tutta la organizzazione del film. Conosce il nome del produttore e degli altri elementi importanti e accetta la corte di un tale che assicura di avere influenza sul regista, un ispettore di produzione millantatore e un poco losco.
Una sera alla Rupe Tarpea vengono a ballare il produttore e il regista del film. Durante tutta la serata Maddalena in ansia studia il modo di avvicinare i due uomini e di ingraziarseli e infine fa una cosa molto grossa: manda a casa a prendere la figlia tutta vestita a festa perché i due la vedano, l’ammirino. Ma quasi quasi Maddalena quella sera perde il posto per le sue prodezze materne. Quando verso l’alba torna a casa fuori c’è l’ispettore di produzione che l’aspetta e l’accompagna a casa con l’evidente intenzione di ottenere da lei qualcosa di concreto. Lei pur di vincere, per la prima volta nella sua vita, si lascia baciare e promette un appuntamento.
Il suo provino risulta dei peggiori. Maddalena riesce con i suoi soliti sotterfugi a vederlo – a vedere la figlia nel confronto con le altre – la povera piccola impacciata Maria. Lì per lì Maddalena vorrebbe fare fuoco e fiamme e perfino prendersela con la figlia. Malgrado gli armeggi di Maddalena, Maria sembra destinata ad essere scartata: nella saletta di proiezione dei provini rimbombano risate, prese in giro, addirittura la piccola viene definita "una nana". Ma poi Blasetti in persona la manda a cercare, manda dei delegati a casa sua - dove incontrano il marito all'oscuro di tutto - perché vuole la piccola Maria nel film. Ma a Maddalena sono ormai chiare tante cose, per esempio che ha più ambizione che amore per la figlia. Ha una grande voglia di domandare perdono a sua figlia e a suo marito il quale è completamente ignaro di tutto quello che è successo in questa settimana piena di incidenti per nascondere i quali sua moglie gli ha perfino rubato i soldi dal portafoglio, ma improvvisamente sembra più convinto di lei sul futuro della bimba nel cinema.
E se ne va fuori, perché è domenica, con il marito e con la figlia che non hanno mai visto una Maddalena così buona, così umile, così piena di invenzioni per farli ridere e per farli divertire. “Andiamo al cinematografo?” domanda il marito. Maddalena non ne vuole sapere e sbatte gli occhi come per paura e guarda la figlia.
Il film nasce da un soggetto di Cesare Zavattini, più volte rielaborato. Secondo Lino Miccichè[2], esistono infatti tre versioni del soggetto (denominate S1, S2 ed S3), tra loro alquanto diverse[3], che poi hanno dato vita a un'ulteriore versione (la S4), quella alla base del copione, alla quale però Zavattini non aveva più lavorato[4]. Anche Visconti conferma di aver apportato molte modifiche al soggetto di Zavattini[5], parlando anche di notevoli modifiche alla struttura del film ed ai dialoghi, in questo caso anche grazie alla Magnani. In un servizio apparso su Stampa Sera[6] si riporta la notizia per cui la storia trarrebbe origine da un fatto realmente accaduto circa un anno e mezzo prima, quando il regista Blasetti, che cercava una bambina per il suo film Prima Comunione, ebbe a che fare con una madre che voleva a tutti i costi imporre la sua figlioletta come protagonista, dicendo a tutti che era «bellissima».
Visconti non realizzava una regia cinematografica da tre anni. «Dopo l'insuccesso commerciale di La terra trema – scrive Alessandro Bencivenni[7] - che, presentato a Venezia, attira gli insulti del pubblico benpensante irritato dalla rappresentazione della realtà popolare e non conosce quasi distribuzione, Visconti incontra difficoltà a realizzare altri progetti». Il regista stesso[8] dichiarò quali erano stati i suoi intenti e le difficoltà incontrate: «La scelta di un soggetto piuttosto che un altro non dipende esclusivamente dalla volontà del regista. Occorre anche una combinazione finanziaria che permetta di realizzarlo. Dopo che avevo dovuto rinunciare a Cronache di poveri amanti ed a La carrozza del Santissimo Sacramento[9], Salvo d'Angelo mi propose il soggetto di Zavattini. Da molto tempo desideravo girare un film con la Magnani e siccome era appunto la Magnani l'interprete prevista per "Bellissima", accettai. (…) E mi interessava anche conoscere quale rapporto sarebbe nato tra me regista e la "diva" Magnani. Il risultato è stato felicissimo[10]». La conoscenza tra i due artisti datava da tempo ed aveva anche portato la Magnani a ospitare per alcuni giorni Visconti, quando lui era ricercato per attività antifascista durante l'occupazione tedesca di Roma[11].
Le riprese del film iniziarono nel giugno 1951 e proseguirono sino alla fine di ottobre[12]. Contrariamente ad altre occasioni - ad esempio quando l'anno successivo si girò Camicie rosse, dove il regista Alessandrini, ex marito della Magnani, a causa dei contrasti con lei abbandonò il "set"- i rapporti dell'attrice con il regista furono buoni. Ricorda Francesco Rosi, che qui fece la sua prima esperienza cinematografica come aiuto regista: «Due caratteri fortissimi, era bellissimo vederli lavorare. Niente scene, niente scontri. Visconti sapeva che la Magnani gli portava la sua personalità, la sua genialità di interprete[13]». Anche la Magnani ebbe parole di stima per il regista[14]: «Nonostante i suoi difetti mi sono trovata bene con Visconti. Mi ha lasciato le redini sciolte. Del resto sapeva che è l'unico modo per farmi recitare». Non si verificarono quelle «liti clamorose che hanno segnato le collaborazione di Anna Magnani con tutti i registi con cui ha lavorato[15]». Gianni Rondolino[16] riporta una dichiarazione di Visconti, nella quale il regista ammette :«Il vero soggetto era la Magnani: volevo tratteggiare con lei il ritratto di una donna, di una madre moderna e credo di esserci riuscito abbastanza bene, perché la Magnani mi ha prestato il suo enorme talento, la sua personalità. Questo mi interessava e, in minore misura, l'ambiente del cinema».
Durante la lavorazione di Bellissima si svolsero anche due vicende personali. Secondo Patrizia Carrano[17] vi fu un flirt tra la Magnani e Walter Chiari: «Bellissima l'aveva messa di fronte casualmente al quel giovanotto milanese sempre indaffarato (…). Si era avviata una piccola storia, breve, nata dalla solitudine, dalla paura dell'età. Incontro breve, nato e morto sul "set" del film di Visconti». Anche nei confronti della bambina, Tina (diminutivo di Concetta) Apicella, di cinque anni, l'attrice sviluppò un forte sentimento affettivo. Secondo Governi[18] Anna Magnani la portò spesso a casa sua, la fece conoscere al figlio Luca, che aveva solo 2 anni più di lei, e i due bimbi diventarono amici. Ad un certo punto l'attrice pensò anche a un'adozione, ma si fermò di fronte al comprensibile rifiuto della famiglia. Durante le riprese si verificò anche un incidente finanziario, quando un amministratore sparì con la cassa del film[19], fatto a cui tuttavia si poté porre rimedio. Altri problemi si ebbero con il mondo della distribuzione: fu chiesto a Visconti[20] di inserire tra gli interpreti l'attore Carlo Croccolo, che a quel tempo assicurava un forte successo di pubblico e, a tale fine, fu promesso a Visconti un "cachet" aggiuntivo di 16 milioni, che tuttavia fu rifiutato. Non mancò neppure un intervento della censura, che impose di rivedere alcuni brani dei testi[21]. Al film presero parte attori già noti o destinati ad una importante carriera, tra cui Walter Chiari, Tecla Scarano, Arturo Bragaglia e Nora Ricci, oltre ad Alessandro Blasetti, Mario Cecchi Gori, Corrado ed altri nel ruolo di sé stessi.
In diverse scene la Magnani venne lasciata libera di recitare quasi a braccio, pur rispettando ovviamente il copione: tra queste, in un paio di frizzanti scene di interni con Tecla Scarano, nella lunga e famosa sequenza girata in una trattoria e sulla riva del Tevere insieme a Walter Chiari (si direbbe quasi "un film nel film"), e verso il finale, in una scena in notturna con in grembo Tina Apicella addormentata e seduta su una panchina fuori dagli studi di Cinecittà, ove l'attrice, piangente, con un fazzoletto portato alla bocca e guardandosi nervosamente intorno, pronuncia un non previsto e quasi soffocato "aiuto!" di disperazione, che Visconti decise di mantenere nella versione definitiva.
Bellissima ebbe la prima rappresentazione mondiale al cinema "Manzoni" di Milano nella nebbiosa giornata del 28 dicembre 1951[22]. Il film, però, fu «assai poco premiato dagli incassi[23]», avendo infatti introitato 160 milioni di lire[24]. In base a questo risultato, il film di Visconti non riuscì ad entrare nell'elenco dei principali lungometraggi di maggior successo commerciale tra i 120 prodotti in Italia quell'anno[25]. Campione di incassi nell'anno 1952 fu Don Camillo di Duvivier che raggiunse la somma record, mai vista prima per un singolo film in Italia, di circa 1 miliardo e mezzo di lire[26].
A fronte dello scarso riscontro economico italiano, il film conobbe calorose accoglienze all'estero. Nel luglio 1952 esso viene proiettato in "prima" a Parigi, alla presenza della Magnani, ed in quella occasione l'attrice ricevette i pubblici complimenti del Ministro degli Esteri francese, Schuman[27]. Ancora prima era stato inserito tra le pellicole che avevano rappresentato l'Italia al 2º Festival Cinematografico che si tenne nel febbraio 1952 a Punta del Este, in Uruguay, dove partecipò al successo della spedizione italiana[28]. Ma il "trionfo" avvenne a New York, dove la Magnani arrivò, sempre per presentare il film, nel maggio del 1953. In una corrispondenza di Indro Montanelli dalla città americana, si descrivono accoglienze trionfali, con veri e propri episodi di ressa, ed un "assedio" da parte dei giornalisti e della gente, che costrinse ad un certo punto l'attrice a rifugiarsi in un locale improvvisato[29].
Tutte le valutazioni di Bellissima ruotano attorno al presunto abbandono, da parte di Visconti, del neorealismo, di cui, soprattutto dopo La terra trema veniva considerato uno dei massimi interpreti.
La questione fu inizialmente affrontata dallo stesso regista. Intervistato da Michele Gandin[30], Visconti dichiarò a tale proposito: «Penso sarebbe meglio parlare di "realismo" semplicemente. Il grosso errore da parte di Germi, ed anche di De Sica, con tutta la stima che ho per loro, è quello di non partire da una realtà sociale effettiva». Poi aggiunge, riferendosi a Miracolo a Milano e a Il cammino della speranza «a mio avviso si tratta di una pericolosa mescolanza di realtà e romanticismo».
Secondo Lino Miccichè[31] «Visconti vuole ricorrere al testo di uno dei riconosciuti "padri fondatori" della ortodossia neorealistica [Zavattini – n.d.r.] proprio per dilatarlo e, in sostanza, ribaltarlo criticamente. Questa operazione critica è comunque anche autocritica, come se prendere spunto dal distantissimo "mondo poetico" di Zavattini avesse dato a Visconti la forza di fare "tabula rasa" di ogni ideologismo neorealistico». Ed ancora: «quella del neorealismo è un'etichetta che Visconti non ha mai troppo gradito e che, anzi, in occasione di Bellissima respinge totalmente…»; per cui, conclude l'autore «a ben rileggere Bellissima appare chiaro che il terzo lungometraggio di Visconti costituisce già quel "superamento" del neorealismo di cui il successivo Senso sarà la più alta ed evidente espressione».
«Anna Magnani – scrisse il Corriere della Sera[32] ha avuto in Bellissima la sua occasione d'oro e ne ha approfittato.(…) Di episodi riusciti ve ne sono, soprattutto nella seconda parte, in particolare quello sulla riva del fiume. È riuscitissimo tutto l'epilogo che concentra e solleva tutti i motivi di commozione preannunciati ed attesi. Volendo raccontare un'esaltazione ed un tracollo, un'illusione ed un disincanto, il film lo ha fatto con dignità, utilizzando mezzi inconsueti ed audaci, talvolta rischiosi. Il suo merito maggiore è nella schietteza, che è poi la strada giusta nel neorealismo e di ogni realismo».
In una lunga ed articolata recensione[33], il critico Guido Aristarco dà un giudizio molto positivo della pellicola: «Dopo La terra trema [Visconti] aveva davanti a sé tre strade: proseguire ed avanzare verso nuove soluzioni; ritornare dalle posizioni conquistate [...], sviluppare un argomento collaterale, importante si, ma meno socialmente impegnativo». E, secondo Aristarco, è quest'ultima la strada seguita dal regista: Bellissima è un nuovo ed eccellente prodotto della coerenza di Visconti da lui maturato percorrendo la terza delle vie che aveva dinnanzi. [...] Visconti scopre una Magnani inedita, che oltrepassa, e non di poco, quella rosselliniana di Roma città aperta; egli la spoglia, cioè, dei suoi "vizi", del suo preoccupante gigionismo». Secondo Aristarco «la condanna del mondo di Cinecittà è comprensibile in tutta la sua estensione ed il suo valore [...] il suo non è soltanto un "no" ad un ambiente specifico, più o meno corrotto, ma anche e soprattutto ad un mondo più estensibile e generale, a tutto un modo di concepire la vita ed il lavoro senza il rispetto dei sentimenti umani e dei sacrifici».
Più differenziato il giudizio apparso su La Stampa[34]: «Si direbbe che, aiutato da un'eccezionale interprete, Anna Magnani, e forse da lei soggiogato, [Visconti ndr] abbia voluto soltanto darci il prepotente ritratto di una popolana. Parecchi episodi appaiono sapidi e nervosi, altri invece sono troppo stipati, quasi ridondanti e quello risolutivo del film (…) non ha la intima convinzione che dovrebbe avere. Questo è il terzo film di Visconti, in apparenza semplice, in realtà dettato da un vasto, umanissimo tema: le grandi delusioni della piccola gente. Un tema che quasi deliberatamente ignora i toni aspri di Ossessione e la raffinata complessità di La terra trema, qui Visconti si è avvicinato a timbri popolareschi, vernacoli…».
Ugo Oietti[35] scrisse che «Anna Magnani ci ha dato forse la più bella interpretazione della sua carriera, confermando ancora una volta le sue qualità di attrice drammatica. Ha creato una Maddalena esuberante e chiassosa, prepotente ed ambiziosa, mentitrice e sensibile». Anche Corrado Alvaro[36] mise in risalto il ruolo della Magnani: «Sin dai primi gesti e dalle prime battute si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad una protagonista che ci condurrà dove vuole», attribuendole «una forza di rappresentazione, una verità e una poesia della vita che fanno di una tale attrice un fenomeno unico».
«Impietosamente satirico sul mondo del cinema – scrive il Morandini[37] - come "fabbrica di sogni", ma anche critico sui metodi del neorealismo, oggi [Bellissima - n.d.r.] pare soprattutto come un ritratto di donna, di una splendida, veemente Magnani. La sua scena sul fiume con Chiari è da antologia. Visconti racconta la realtà popolare piena di contraddizioni con occhi sempre lucidi, talvolta impietosi, senza sentimentalismo o idealizzazioni».
Per il Mereghetti[38] si tratta di un «film disperante e grottesco sul falso mito del cinema che utilizza ironicamente come colonna sonora "l'elisir d'amore" di Donizetti. Anche, se non soprattutto, un film feroce sulla "filosofia" del neorealismo: qui la rappresentazione del popolo è piena di contraddizioni, realizzata con l'occhio impietoso di chi sa che i sogni sono destinati ad infrangersi di fronte alla ferocia della realtà».
Anche molti altri commenti successivi convergono nel ritenere Bellissima un film con cui Visconti si distacca dal filone neorealistico. Ad esempio Gianni Rondolino[39] scrive di un «parziale fallimento dei risultati artistici (…) la poetica del neorealismo mal si esprime in uno stile che tenta di mediare la realtà documentaristica con la drammaturgia classica del personaggio a tutto tondo». Analogo il commento apparso su Cinema, grande Storia illustrata[40]: «Sguardo lucido su condizioni economiche di miseria e di fame in un'Italia appena uscita dalla fase di ricostruzione e pronta a guardare al di là dell'orizzonte dei bisogni immediati. Visconti smonta con crudeltà la macchina cinematografica, mostrando l'assoluta inconsistenza morale ed ideale del mondo del cinema.(…) Nel momento in cui Visconti smette di girare Bellissima il cordone che ancora lo lega alla cultura del neorealismo viene reciso nettamente».
Ancora più esplicito, sotto questo aspetto, il giudizio del critico Renzo Renzi[41]: «Quasi tutto pareva dividere i due grandi cineasti [Visconti e Zavattini – n.d.r.] nello stesso approccio alla realtà. Bellissima diventa una sorta di grande calcio dato da Visconti alla per lui inconsistente chiacchiera neorealistica, al suo inconsistente lirismo».
Più sfumato invece il parere di Alessandro Bencivenni[42]: «Bellissima nasce da un spunto neorealista. Col neorealismo condivide certe caratteristiche: l'uso austero della macchina da presa, il sonoro in presa diretta, una recitazione che lascia spazio alla improvvisazione degli attori. Ma non parte da una contrapposizione ideologica tra le virtù della realtà ed i peccati dell'artificio». Mentre, secondo Lino Micciché[43], si tratta di un film di transizione «tra l'altissima stilizzazione neorealistica di La terra trema ed il turgido realismo, definitivamente post neorealistico, di Senso».
Del resto, già sin dal 1948, era stato lo stesso Visconti[44] a rifiutare ogni inquadramento preconcetto, ironizzando sui "neorealisti più realisti del re" e sulla «ottusità di chi vuole mettere etichette e confini alla libertà creativa. Mi sembra – scriveva Visconti – che [il neoralismo - n.d.r.] cominci a diventare un'assurda etichetta che si è attaccata come un tatuaggio e che invece di designare un metodo, un momento, diventa una limitazione totale, una regola».
Oltre al già citato Nastro d’argento conferito ad Anna Magnani per la sua interpretazione, va ricordato che Bellissima è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare[45].
Opere citate nella voce (in ordine cronologico):
Altre opere sull'argomento, non citate nella voce (in ordine cronologico):
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