La nostra vita è un film del 2010 diretto da Daniele Luchetti. È stato presentato al Festival di Cannes 2010, come unico film italiano in concorso,[1] dove Elio Germano si è aggiudicato il premio per la miglior interpretazione maschile.[2]
La nostra vita | |
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Lingua originale | italiano |
Paese di produzione | Italia, Francia |
Anno | 2010 |
Durata | 95 min |
Rapporto | 1,85:1 |
Genere | drammatico |
Regia | Daniele Luchetti |
Sceneggiatura | Daniele Luchetti, Sandro Petraglia, Stefano Rulli |
Produttore | Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Fabio Conversi |
Produttore esecutivo | Matteo De Laurentiis |
Casa di produzione | Cattleya, Babe Films, Rai Cinema |
Distribuzione in italiano | 01 Distribution |
Fotografia | Claudio Collepiccolo |
Montaggio | Mirco Garrone |
Musiche | Franco Piersanti |
Scenografia | Giancarlo Basili |
Interpreti e personaggi | |
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«E la vita continua anche senza di noi.» |
(Verso della canzone Anima fragile di Vasco Rossi cantata dai protagonisti) |
Il film è stato distribuito nelle sale cinematografiche il 21 maggio 2010 dalla 01 Distribution.
Claudio è un operaio edile, che vive alla periferia di Roma con l'amata moglie Elena e i loro due figli. Con lei ha costruito un solido rapporto fatto di complicità, con cui affrontano le piccole e grandi quotidianità, cercando di arrivare alla fine del mese e di dare un futuro dignitoso ai figli. Claudio nei cantieri ha il compito di controllare il lavoro dei muratori, che per la maggior parte sono clandestini e lavorano in nero. Un giorno casualmente scopre il corpo senza vita di un romeno caduto accidentalmente nella tromba dell'ascensore lasciata senza protezione. Claudio non denuncia l'incidente per non bloccare i lavori e il corpo del romeno viene sepolto nel cemento. In seguito, la moglie muore per complicazioni post-parto, dopo aver dato alla luce il terzo figlio.
Rimasto solo con i figli, Claudio riesce ad affrontare un così grande dolore, ma per una sorta di risarcimento per quello che la vita gli ha strappato, vuole dare ai figli amore e attenzioni fatte di beni materiali. Per guadagnare velocemente più denaro riesce ad ottenere un subappalto per la costruzione di una palazzina ricattando l'imprenditore che non ha denunciato la morte del romeno ma si ritroverà in una situazione più grande di lui, invischiato in affari poco leciti, con al centro lo sfruttamento degli operai extracomunitari. Nonostante l'aiuto dell'amico spacciatore Ari, Claudio rischia il fallimento che riuscirà ad evitare con il sostegno delle persone che gli vogliono bene, come la sorella Liliana e il fratello Piero. Grazie ai valori della famiglia, Claudio potrà ricominciare da capo. Vittima ed assieme colpevole della società in cui vive, forse ha capito che «non tutto s'aggiusta con il denaro», come gli dice il figlio dell'operaio morto.
È un film duro, durissimo, questo di Luchetti. Sembrano passati secoli da La scuola, agrodolce affresco dagli appunti autobiografici di Domenico Starnone, uscito nel 1995. Dopo il breve idillio iniziale, arriva la brusca virata verso un cinema che ha il sapore del primo Ken Loach (Riff Raff - Meglio perderli che trovarli e i suoi muratori arrabbiati, per intenderci), o addirittura ascendenze verghiane nella smania del protagonista per la "roba" dei nostri tempi, i soldi, e nella condanna allo smacco del suo tentativo di fare il salto, di "progredire" avrebbe detto il catanese.
Eppure c'è anche un'idea tutta nuova del regista e degli sceneggiatori (lo stesso Luchetti e l'inossidabile coppia di tanti successi Rulli-Petraglia), cioè quella del rimedio, del riparare alla perdita dell'affetto più grande, irreparabile, con l'unica panacea che i nostri tempi ammanniscano per ogni forma di dolore e carenza, vuoto e necessità, cioè il denaro. E gli oggetti che con esso è possibile possedere. Assunto piuttosto semplicistico e un po' trito, ma che nella sceneggiatura e, soprattutto, nell'interpretazione di Germano risulta decisamente convincente.
Ci si potrebbe interrogare sul lieto fine, ammesso che sia davvero tale. In realtà si tratta di una ripartenza. Forse Claudio metabolizza in maniera un po' troppo didascalica il messaggio, a maggior ragione visto che ad aiutarlo a capire è Andrej, il figlio del muratore morto sul lavoro. In ogni caso le ultime sequenze con i figli, sul balcone e nel lettone, sono emotivamente, e quindi anche cinematograficamente, efficacissime.[3]
Il film è stato girato principalmente a Ostia, a Porta di Roma ed a Ponte di Nona.
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