Rashomon (羅生門 Rashōmon?, lett. "La porta nelle mura difensive") è un film del 1950 diretto da Akira Kurosawa. In Italia è stato distribuito anche come Rasciomon.[1][2][3]
Rashomon | |
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Titolo originale | 羅生門 Rashōmon |
Paese di produzione | Giappone |
Anno | 1950 |
Durata | 88 min |
Dati tecnici | B/N rapporto: 1,37:1 |
Genere | drammatico, epico |
Regia | Akira Kurosawa |
Soggetto | Ryūnosuke Akutagawa |
Sceneggiatura | Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto |
Produttore | Masaichi Nagata |
Casa di produzione | Daiei Motion Picture Company |
Distribuzione in italiano | CEI-INCOM |
Fotografia | Kazuo Miyagawa |
Montaggio | Akira Kurosawa |
Musiche | Fumio Hayasaka |
Scenografia | So Matsuyama |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Il film tratta della capacità dell’uomo di mentire, e di mentire anche a se stesso. Tutti i personaggi infatti mentono, mentono per salvare il proprio onore. Non è un film sul relativismo, come a volte è stato equivocato nonostante le dichiarazioni di segno opposto dello stesso regista, e sulla molteplicità della verità, verità che nel film è una e una soltanto, mentre a cambiare sono solo le versioni secondo l’interesse di chi le racconta. Il film impose il grande talento dell'attore Toshirō Mifune sulla scena internazionale. Ispirato principalmente al racconto Nel bosco di Akutagawa, fu integrato con estratti da Rashōmon, dello stesso autore. Inoltre il regista aggiunse un finale non presente nei racconti, cercando di smorzare il forte nichilismo della storia.
Girato nella foresta vergine di Nara, nei dintorni di Kyoto, con un budget bassissimo, il film venne messo in circolazione in Giappone il 25 agosto 1950, contro il parere dei dirigenti della Daiei Motion Picture Company (la casa produttrice), che non ritenevano meritevole. Grazie all'interessamento di Giuliana Stramigioli, docente di italiano presso l'Università degli Studi Stranieri di Tokyo e fondatrice della Italifim, Kurosawa riuscì ad inviare il film in Italia, dove venne presentato al Festival di Venezia, vincendo il Leone d'oro al miglior film. Pochi mesi dopo il film vinse anche un Premio Oscar come miglior film straniero (il quale all'epoca era assegnato ad honorem). Si aprì così il successo internazionale per un film (e per un regista) che in patria aveva trovato poco apprezzamento.
Rashōmon (羅生門?) o Rajōmon (羅城門?) vuol dire "La porta nelle mura difensive" (il carattere 生 sarà utilizzato solo in seguito ed è una delle tante denominazioni per porta) ed era uno dei due principali accessi alla città di Kyōto, in Giappone, quello a sud, contrapposto a Suzakumon a nord.
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Periodo Heian, in una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un fatto increscioso avvenuto qualche tempo prima, ovvero l'uccisione di un samurai avvenuta per mano di un brigante che avrebbe anche abusato della moglie di lui.
Il monaco (Minoru Chiaki), che aveva deposto al processo come testimone in quanto aveva incrociato lungo la strada la coppia prima del fattaccio, inizia a raccontare in flashback la storia come vi ha assistito nel tribunale. Riporta così le versioni del brigante-violentatore Tajōmaru, della moglie del samurai, e anche della vittima (che avrebbe parlato attraverso una medium). Le versioni sono contrastanti e non si capisce bene quale sia la verità. Interviene il boscaiolo, che era colui che aveva rinvenuto il cadavere nel bosco, e confessa agli uomini che, attendono la fine della pioggia, anche lui è stato un testimone diretto, ma che non lo ha riferito al tribunale per non rimanere invischiato nella vicenda. Quest'ultima versione è apparentemente la più realistica, perché non enfatizza il ruolo di ciascun protagonista nella vicenda, anzi li sminuisce nella loro vigliaccheria; anche questa viene però messa in discussione alla fine del film, quando si capisce che ha rubato dei preziosi oggetti delle vittime.
Infine viene rinvenuto un bambino abbandonato che uno dei tre uomini decide di prendere con sé con spirito di altruismo, e questo ristora il monaco che fino ad allora era assai turbato dal comportamento scellerato degli uomini.
Tutto il racconto si è svolto al riparo della porta in rovina ai limiti della città di Kyōto, che nell'ultima scena viene identificata da un segnale come Rashōmon.
Nell'ottobre del 1915 il ventitreenne Ryūnosuke Akutagawa, per distrarsi da una delusione amorosa, scrive il racconto breve Rashōmon, uscito nel 1916 su Teikoku bungaku, rivista fondata da studenti ed ex studenti dell'Università Imperiale di Tokyo. Il racconto è un rekishi mono, un racconto storico, dove Akutagawa descrive il personaggio di un ex servo durante il periodo Heian (794-1185), il quale cerca riparo dalla pioggia proprio sotto la Porta di Rashō, dove avrà modo di conoscere gli egoismi e l'ipocrisia umana. Nel 1922 lo stesso autore scrive il racconto Nel bosco (Yabu no naka), considerato il capolavoro della sua produzione. In esso l'autore racconta di un uomo ed una donna che hanno una brutta avventura con un brigante in un bosco, ma ognuno di questi personaggi racconta una versione diversa dell'accaduto. Il racconto esce sulla rivista Shincho. Sarà questo racconto a fornire l'ossatura del film.
L'ammirazione di Kurosawa per il cinema dell'epoca del muto e l'arte moderna è riscontrabile nelle scenografie minimali allestite per i vari set del film. Kurosawa pensava che il sonoro moltiplicasse la complessità di un film: «Il suono a livello cinematografico non è mai solo d'accompagnamento, non è solamente quello che la macchina del suono cattura mentre si gira la scena. Il vero sonoro non si limita ad accompagnare le immagini, le moltiplica». A proposito di Rashōmon, Kurosawa disse: «Mi piacciono le immagini in silenzio e ho sempre cercato di ricreare una parte di questa bellezza. Ci riflettei su, ed arrivai a questa conclusione: una delle tecniche utilizzate dall'arte moderna è la semplificazione, quindi pensai di semplificare questo film il più possibile»[4].
Il direttore della fotografia del film, Kazuo Miyagawa, contribuì enormemente al film suggerendo diverse idee al regista. Per esempio, in una scena, si vedono una serie di singoli primi piani del bandito, poi della moglie, e infine del marito samurai, che vogliono enfatizzare la particolare e perversa triangolazione di rapporti che si è venuta a creare tra di loro. Inoltre, l'uso di un'illuminazione forte giocata sui contrasti di luce è un'altra caratteristica di Rashōmon. Kurosawa avrebbe voluto utilizzare il più possibile la luce naturale, ma era spesso troppo fioca; risolsero il problema utilizzando uno specchio che rifletteva la luce naturale sui volti degli attori.
Robert Altman lodò il variegato uso che Kurosawa fa della luce nel film, che dona ai personaggi una maggiore carica di ambiguità[5]. Nel suo saggio Rashomon, Tadao Sato suggerisce che l'inusuale utilizzo dell'illuminazione nel film voglia simboleggiare il male e il peccato, deducendo che la moglie cede alle voglie del bandito quando sorge il sole. Contrariamente, la professoressa Keiko I. McDonald si oppone all'interpretazione data da Sato nel suo saggio The Dialectic of Light and Darkness in Kurosawa's Rashomon. McDonald afferma che nel film la luce viene utilizzata in modo molto più convenzionale per simbolizzare il "bene" o la "ragione", e le tenebre come metafora del "male" e dell'"impulsività". Inoltre interpreta la scena menzionata da Sato in maniera totalmente differente, facendo notare che la moglie cede al bandito quando il sole lentamente svanisce. McDonald afferma anche che Kurosawa era in attesa di una grossa nuvola sopra la porta Rashomon per girare la scena finale nella quale il taglialegna si porta a casa il neonato trovatello; Kurosawa voleva mostrare che ci sarebbero potuti essere presto altri temporali, anche se il cielo era momentaneamente sereno. Sfortunatamente, la scena conclusiva appare così ottimistica proprio perché la nuvola non arrivò, e tutta la scena è inondata di sole suggerendo un insperato ottimismo non del tutto voluto dall'autore.
Stanley Kauffman scrisse nel saggio The Impact of Rashomon che Kurosawa spesso girava una scena con l'ausilio di molte cineprese allo stesso tempo, così da avere ampia scelta dell'inquadratura migliore da utilizzare. Nonostante questo, utilizzava anche brevi inquadrature montate insieme per sembrare un'unica scena; nel film ci sarebbero circa 407 scatti separati montati insieme nel corpo del film, più del doppio di quelli abitualmente presenti in un film.
Quando Kurosawa girò Rashōmon, gli attori e la troupe vivevano tutti insieme come in una comune; era questo un sistema che Kurosawa trovava proficuo[6].
Nei titoli di testa della versione italiana del film distribuita nel 1950 il titolo è Rasciomon e la sceneggiatura è attribuita a Sojiro Motoki. Rasciomon è anche il titolo che compare nella locandina di quell'anno, mentre il nome del regista è scritto "Achira Curosawa" e quelli degli attori principali sono scritti "Tosciro Mifune", "Macico Ciyo" e "Masaiuchi Mori". Il doppiaggio venne effettuato presso l'impresa O.D.I. di Roma con la direzione di Augusto Galli
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