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Scilla (in greco antico: Σκύλλα, Skýlla) è un mostro marino della mitologia greca.

Scilla
Scilla, placca di terracotta, di Melos, 460–450 a.C., rintracciata ad Egina, Londra, British Museum
Nome orig.Σκύλλα
Speciemostro marino
Sessofemmina

Secondo la versione più comune, Scilla è figlia del dio Forco (o Forcide) e di Ceto. Secondo la tradizione riportata dall'Odissea, invece, è figlia della ninfa Crateide. Altre leggende la dicono nata da Forbate e da Ecate, oppure da quest'ultima e Forco. La si considerava anche figlia di Tifone ed Echidna, oppure di Zeus e di Lamia, a sua volta figlia di Poseidone.

Scilla viene descritta da Omero nell'Odissea, XII, 112, da Ovidio nei libri XIII-XIV delle Metamorfosi e da Virgilio nell'Eneide, III.


Mito


Scilla raffigurata su un cratere greco conservato al Louvre
Scilla raffigurata su un cratere greco conservato al Louvre

Secondo i commenti di Servio[1] e di Giovanni Tzetzes[2] all'Eneide Scilla era una bellissima naiade rivendicata da Poseidone, ma la gelosa nereide Anfitrite, sposa del dio del mare, la trasformò in un terribile mostro versando una pozione nello specchio d'acqua dove Scilla era solita fare il bagno. Sempre Giovanni Tzetzes, così come fa anche Eustazio, registra un mito tardo greco nel quale Eracle uccise Scilla dopo averla incontrata durante un viaggio. Così suo padre Forco pose sul suo corpo delle torce fiammeggianti che la riportarono in vita.

Secondo quanto raccontato da Igino[3] e Ovidio, all'inizio Scilla era una ninfa dagli occhi azzurri, che viveva in Calabria ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno nell'acqua del mare. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, che un tempo era stato un mortale, ma oramai era un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio, vista la reazione della ninfa, iniziò ad urlarle il suo amore, ma Scilla fuggì lasciandolo solo nel suo dolore.

Allora Glauco si recò dalla maga Circe e le chiese un filtro d'amore per far innamorare la ninfa di lui, ma Circe, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei. Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per Scilla e Circe, furiosa per essere stata respinta al posto di una ninfa, volle vendicarsi. Quando Glauco se ne fu andato, preparò una pozione malefica e si recò presso la spiaggia di Zancle, versò il filtro in mare e ritornò alla sua dimora.

Quando Scilla arrivò e s'immerse in acqua per fare un bagno, vide crescere molte altre gambe di forma serpentina accanto alle sue, che nel frattempo erano diventate uguali alle altre. Spaventata fuggì dall'acqua, ma, specchiandosi in essa, si accorse che si era completamente trasformata in un mostro enorme ed altissimo con sei enormi teste di cane lungo il girovita, un busto enorme e delle gambe serpentine lunghissime. Secondo alcuni dalla vita in su manteneva il corpo di una vergine, mentre per altri possedeva sei teste serpentine altrettanto mostruose. Per l'orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta dove abitava anche Cariddi.

Nel XII libro dell'Odissea di Omero, Circe consiglia a Ulisse di navigare più vicino a Scilla, perché Cariddi potrebbe affondare l'intera nave, suggerendogli anche di chiedere a Crateide, madre di Scilla, di impedire alla figlia di balzare sulle navi più di una volta. Ulisse naviga con successo nello stretto, ma quando lui e il suo equipaggio vengono momentaneamente distratti da Cariddi, Scilla cattura sei marinai e li divora vivi.

«Nel destro lato è Scilla; nel sinistro / È l’ingorda Cariddi. Una vorago / D’un gran baratro è questa, che tre volte / I vasti flutti rigirando assorbe, / E tre volte a vicenda li ributta / Con immenso bollor fino a le stelle. / Scilla dentro a le sue buie caverne / Stassene insidïando; e con le bocche / De’ suoi mostri voraci, che distese / Tien mai sempre ed aperte, i naviganti / Entro al suo speco a sé tragge e trangugia. / Dal mezzo in su la faccia, il collo e ’l petto / Ha di donna e di vergine; il restante, / D’una pistrice immane, che simíli / A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre. / Meglio è con lungo indugio e lunga volta / Girar Pachino e la Trinacria tutta, / Che, non ch’altro, veder quell’antro orrendo, / Sentir quegli urli spaventosi e fieri / Di quei cerulei suoi rabbiosi cani.»

(Virgilio, Eneide)

Cultura di massa



Note


  1. Servio su Eneide III. 420.
  2. Giovanni Tzetzes, Su Licofrone 45
  3. Igino, Fabulae, 199

Bibliografia



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Collegamenti esterni


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[fr] Scylla (monstre)

Dans la mythologie grecque, Scylla (en grec ancien Σκύλλα / Skúlla) est une nymphe qui fut changée en monstre marin par Circé.
- [it] Scilla (mostro)

[ru] Скилла (мифология)

Ски́лла (др.-греч. Σκύλλα, в латинской транслитерации Сци́лла, лат. Scylla) — морское чудище из древнегреческой мифологии. Скилла наряду с Харибдой согласно древнегреческой мифологии представляла собой смертельную опасность для любого, кто проплывал мимо неё.



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