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Romolo e Remo (o, secondo alcuni autori antichi, Romo[1]) sono, nella tradizione mitologica romana, due fratelli gemelli, uno dei quali, Romolo, fu il fondatore eponimo della città di Roma e suo primo re. La data di fondazione è indicata per tradizione al 21 aprile 753 a.C. (detto anche Natale di Roma e giorno delle Palilie). Secondo la leggenda, erano figli di Rea Silvia (Rhea Silvia), discendente di Enea, e di Marte[2].

Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Romolo e Remo (disambigua).
Lupa capitolina
Lupa capitolina
Romolo e Remo sulla Casa della Lupa nella Grand Place di Bruxelles
Romolo e Remo sulla Casa della Lupa nella Grand Place di Bruxelles

La leggenda nelle fonti antiche


Esistono innumerevoli versioni della leggenda di Romolo e Remo e della fondazione di Roma, tutte tese alla glorificazione degli antenati dei Romani e della gens Iulia. Ci sono stratificazioni tra diverse leggende, dettagli diversi e "rami laterali", di volta in volta tesi a togliere o ad aggiungere onore e diritti ai Romani. La leggenda della fondazione di Roma è riportata dallo storico romano Tito Livio nel libro I della sua Storia di Roma. Di essa riferiscono anche Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Varrone.

Questo racconto è da sempre stato ritenuto una favola, risalente al periodo fra il IV e il III secolo a.C.[senza fonte]. Per molti critici la città di Roma si era addirittura formata soltanto centocinquanta anni più tardi, all'epoca dei re Tarquini (fine del VII secolo a.C.)[3]. Tuttavia, sul colle del Palatino, durante alcuni lavori esplorativi, nel 2007 sarebbe stato ritrovato il lupercale: questo santuario, dove i Romani veneravano il Dio Luperco (Faunus lupercus), è collegato al racconto dell'allattamento di Romolo e Remo da parte della leggendaria lupa.


Da Troia ad Alba Longa


Fuga di Enea da Troia, Federico Barocci - 1598 - Galleria Borghese - Roma
Fuga di Enea da Troia, Federico Barocci - 1598 - Galleria Borghese - Roma
Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di Troia, Latium vetus, Alba Longa e Re albani.

Come si racconta nell'Eneide, Enea, figlio della dea Venere, fugge da Troia, ormai occupata dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio;[1] mentre la moglie Creusa, figlia del re Priamo, perisce nell'incendio della città.

Dopo varie peregrinazioni nel Mediterraneo, tra le quali l'approdo a Cartagine dove viene accolto da Didone, Enea approda nel Lazio nel territorio di Laurento.[1] Qui venuto in contatto con gli Aborigeni del re Latino[1], si scontra con Turno, re dei Rutuli, che resterà ucciso. Enea decise poi di fondare una nuova città, dandole il nome di Lavinium, in onore di sua seconda moglie, Lavinia.[1][4]

In seguito il figlio di Enea, Ascanio, fondò una nuova città di nome Alba Longa[1] (trenta anni dopo la fondazione di Lavinium, secondo Tito Livio),[5] sulla quale regnarono i suoi discendenti per numerose generazioni (dal XII all'VIII secolo a.C.),[6][7][8][9][10] fino a quando si arrivò al regno di Amulio, che aveva usurpato il trono al fratello Numitore.[1]


Romolo e Remo


Numitore, essendo più vecchio di Amulio, aveva ricevuto in eredità l'antico regno della dinastia Silvia.[1] Ma il fratello usurpò il trono, arrivando anche a commettere delitti:

«Ma la violenza poté più della volontà del padre o dell'età maggiore del primogenito. Dopo aver estromesso il fratello, Amulio inizia il suo regno.[1] Egli commise un crimine dietro l'altro. I figli maschi del fratello li fece uccidere...[1]»

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 3.)
Faustolo trova la lupa con i gemelli, Rubens, ai Musei Capitolini
Faustolo trova la lupa con i gemelli, Rubens, ai Musei Capitolini

Costrinse, infine, l'unica figlia femmina del fratello, Rea Silvia, a diventare vestale e a fare quindi voto di castità, togliendole la speranza di diventare madre.[1][6][11] Tuttavia il dio Marte s'invaghì della fanciulla e le fece violenza in un bosco sacro, dove era andata ad attingere acqua. Da quel rapporto nacquero i gemelli Romolo e Remo.[12][13] Al secondo di questi due neonati fu dato lo stesso nome del condottiero rutulo decapitato nel sonno da Niso durante la guerra fra troiani e italici:

«e lo scudiero di Remo uccide, e l'auriga, coltolo proprio / tra i cavalli, e col ferro recide i colli penzoloni; / indi taglia la testa al loro signore e ne abbandona il tronco / che sussulta nel sangue [...] /»

((Virgilio, Eneide, libro IX, vv.330-33, traduzione in versi di Riccardo Scarcia))

Per ordine dello zio, Rea Silvia fu seppellita viva[14][15], come prevedeva la legge per le vestali che non rispettavano il voto di castità. Il fiume Aniene, dove il corpo fu gettato, ne ebbe pietà e la resuscitò[senza fonte]. Il re Amulio, in seguito, affidò i bambini a due schiavi con l'ordine di metterli in una cesta, portarli nella parte più alta del fiume, e affidarli alla corrente.[1][16] Per le piogge recenti il fiume era straripato e aveva allagato i campi nella zona del Velabro, quindi uno dei due uomini pensò di lasciarli nel punto dove erano arrivati. L'altro accettò la proposta e spiegò ai due bambini cosa stava per succeder loro; i due piccoli, allora, emisero un vagito come se avessero capito e vennero affidati alla corrente. La cesta nella quale i gemelli erano stati adagiati si arenò in una pozza d'acqua sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus.[17] Quando le acque del fiume si ritirarono, la cesta rimase all'asciutto ai piedi di un albero di fico (il ficus ruminalis)[13]. Altre fonti fanno coincidere il punto dove si fermò la cesta con i gemelli con una grotta[18] collocata alla base del Palatino, detta "Lupercale" perché sacra a Marte e a Fauno Luperco.

Il pastore Faustolo tiene in braccio i due gemelli in Romolo e Remo raccolti da Faustolo di Pietro da Cortona, Museo del Louvre
Il pastore Faustolo tiene in braccio i due gemelli in Romolo e Remo raccolti da Faustolo di Pietro da Cortona, Museo del Louvre

Una lupa, scesa dai monti al fiume per abbeverarsi, fu attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e si mise ad allattarli[19]. Vuole la tradizione che anche un picchio portò loro del cibo (entrambi gli animali sono sacri ad Ares).[20] In seguito furono trovati da un pastore di nome Faustolo (porcaro di Amulio), il quale insieme alla moglie Acca Larenzia decide di crescerli come suoi figli.[1][19][21][22] Esiste una supposizione sulla figura di Acca Larenzia. Alcune interpretazioni la identificano con la "lupa", parola che in latino significa anche prostituta (da cui, "lupanare", luogo dove si svolge la prostituzione).[19] I Greci, anche se vinti e conquistati dai Romani, considerarono questi sempre dei rozzi barbari non all'altezza della loro raffinata civiltà e per loro la verità era che Romolo e Remo erano stati non raccolti ma figli di una prostituta, la quale, appena nati, li aveva esposti e abbandonati, e a raccoglierli e ad allevarli era stata non la leggendaria lupa ma una donna comune; tanto leggiamo infatti per esempio nella Suida, dizionario in lingua greca scritto nel X secolo d.C.[23]

In ogni caso, incertezza della nascita a parte, i bambini crebbero inizialmente nella capanna di Faustolo e Larenzia, situata sulla sommità del Palatino, nella zona del colle chiamata "Germalo" (o "Cermalo"). Plutarco racconta infatti:

«Si dice che i gemelli venissero condotti a Gabii per imparare l'uso della scrittura e tutto ciò che solitamente devono apprendere i fanciulli di nobili origini. [...]. Romolo sembrava possedere maggiore capacità di giudizio ed un'innata perspicacia politica, mostrando nei rapporti con i confinanti per il diritto al pascolo e di caccia una naturale predisposizione al comando piuttosto che alla sottomissione.»

(Plutarco, Vita di Romolo, 6, 1-3; trad. Marco Bettalli)

«Irrobustitisi nel corpo e nello spirito, non affrontavano solo le fiere, ma tendevano imboscate ai banditi carichi di bottino. Dividevano il bottino delle rapine con i pastori e dividevano con loro cose serie e ludiche, mentre cresceva il numero dei giovani giorno dopo giorno.»

(Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4.)

Si racconta che i due fratelli, un giorno furono assaliti dai banditi, i quali volevano vendicarsi dei bottini più volte perduti. Romolo si difese energicamente, ma Remo fu catturato e condotto di fronte al re Amulio, con l'accusa di furto e di aver compiuto numerose scorribande nelle terre di Numitore. Per questi motivi fu consegnato a quest'ultimo.[24]

«Numitore, mentre teneva in prigionia Remo e veniva a sapere che erano fratelli gemelli, comparando la loro età ed il carattere per nulla sottomesso, fu toccato nell'anima al ricordo dei nipoti. Continuando a fare domande arrivò vicino a conoscere che fosse Remo.»

(Livio, Ab Urbe condita libri, I, 5.)

Nel frattempo, Faustolo aveva raccontato a Romolo delle loro origini e del sangue reale. Romolo radunò, pertanto, un gruppo consistente di compagni e si diresse da Amulio, raggiunto da Remo, che era stato liberato dallo stesso Numitore. Amulio venne ucciso[24] e Numitore ritornò re di Alba Longa.[1][25][26][27]


Morte di Remo e fondazione di Roma


Roma nell'anno della sua fondazione, nel 753 a.C.
Roma nell'anno della sua fondazione, nel 753 a.C.
Lo stesso argomento in dettaglio: Fondazione di Roma, Roma quadrata, Septimontium e Romolo.

Ottenuto dal nonno Numitore il permesso, Romolo e Remo lasciarono Alba Longa e si recarono sulla riva del Tevere per fondare una nuova città nei luoghi dove erano cresciuti.[1][26] Lo stesso Livio aggiunge che del resto la popolazione di Albani e Latini era in eccesso, e riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:

«Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli aruspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l’Aventino.[28] Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo.[28] Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato,[28] i rispettivi gruppi avevano proclamato re l’uno e l’altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra. È più nota la versione secondo la quale Remo, per prendere in giro il fratello, avrebbe scavalcato le mura appena erette [più probabilmente il pomerium, il solco sacro] e quindi Romolo, al colmo dell’ira, l’avrebbe ammazzato aggiungendo queste parole di sfida: «Così, d’ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura». In questo modo Romolo s’impossessò da solo del potere e la città appena fondata prese il nome del suo fondatore.»

(Livio, I, 6-7 – traduzione di G. Reverdito)

La versione raccontata da Plutarco è molto simile a quella di Livio, con la sola eccezione che Romolo potrebbe non aver avvistato alcun avvoltoio. La sua vittoria sarebbe pertanto stata per alcuni, frutto dell'inganno. Questo il motivo per cui Remo si adirò e ne nacque la rissa che portò alla morte di quest'ultimo.[1][29]

«Quando Remo si rese conto che il fratello si era preso gioco di lui, si sdegnò e mentre Romolo stava scavando il fossato con il quale aveva intenzione di circondare le mura della città, si fece beffe del suo lavoro e cercò di ostacolarlo. Infine varcò il fossato, ma cadde colpito in quello stesso punto, secondo alcuni dal medesimo Romolo, secondo altri da un compagno di Romolo, Celere. Nella rissa cadde anche Faustolo e Plistino, che si dice era fratello di Faustolo ed aveva contribuito ad allevare Romolo e Remo.»

(Plutarco, Vita di Romolo, 10, 1-2. Trad. di Marco Bettalli)

Una versione alternativa racconta che Romolo fece costruire sul solco (urvum/urbum, manico dell'aratro con il quale viene tracciato il confine; da qui Urbs, Città) tracciato con l'aratro, una cinta muraria, mettendovi a guardia Celere, cui impartì l'ordine di uccidere chiunque avesse osato scavalcarla. Purtroppo Remo non era venuto a conoscenza dell'ordine imposto dal fratello e quando si avvicinò alla cinta, notando quanto essa era bassa, la scavalcò con un salto.[30] Il fedele Celere gli si avventò contro e lo trapassò con la spada. Romolo, saputo della disgrazia, ne rimase sconvolto, ma non osò piangere di fronte al suo popolo, essendo ormai un sovrano.

Faustolo, il pastore che li aveva allevati fu inumato presso l'allora Comizio,[31] mentre Remo fu seppellito sull'Aventino in una località chiamata Remoria,[32] in ricordo del quale ogni 9 maggio è celebrata una festa Remuria (o Lemuria) per ricordare i defunti come ci racconta Ovidio.[33] Romolo diventava così il primo re di Roma.


Albero genealogico


Anchise[1]
Afrodite/Venere
Latino
Creusa
Enea[1]
Lavinia[1]
Ascanio,[1] o Iulo
Silvio
Silvio
Enea Silvio
Bruto di Troia
Latino Silvio
Alba
Atys
Capys
Capeto
Tiberino Silvio
Agrippa
Romolo Silvio
Aventino
Proca
Numitore[1]
Amulio[1]
Rea Silvia[1]
Ares/Marte
Hersilia
Romolo
Remo
Prima e Avilio

La tradizione letteraria e antiquaria


La formazione di un'articolata “leggenda” riguardo alla fondazione di Roma conobbe un decisivo impulso in età augustea. Le ragioni di questo sviluppo sono abbastanza chiare: Roma era ormai diventata il centro politico, economico e culturale di tutto il Mediterraneo e Augusto, nella sua vasta opera di riorganizzazione della compagine statale romana, mirava ovviamente a nobilitarne il passato e a dare così ragioni “culturali” del suo dominio sul mondo. Frutto di questa politica propagandistica e culturale furono in particolare tre opere, ossia l'Eneide di Virgilio (modellata sui poemi omerici, l'Iliade e l'Odissea), gli Annali (chiamati anche Ab Urbe condita libri) di Tito Livio, e le Antichità romane di Dionisio di Alicarnasso. Questi tre autori concorsero a fornire un resoconto dettagliato e particolareggiato sulla fondazione di Roma, risalendo a tempi molto antichi (addirittura precedenti alla guerra di Troia, all'inizio del XIII secolo a.C.) e presentando una successione continua e omogenea di fatti per loro “storici” e attestati.


La critica storica moderna


Anche la leggenda di Romolo e Remo, all'inizio separata da quella di Enea, viene successivamente integrata nel suo mito. In un primo momento i due gemelli vengono indicati come suoi figli o nipoti. Eratostene di Cirene si accorse tuttavia che, essendo la data della caduta di Troia tra il 1250 e il 1196 a.C., né Enea né i suoi più diretti discendenti potevano aver fondato Roma attorno a queste date. Catone il Censore rende plausibile la storia. Secondo la sua versione, accettata poi come definitiva, Enea fugge da Troia e giunge nel Lazio. Qui, dopo aver sposato Lavinia, fonda Lavinium. Ascanio è invece il fondatore di Alba Longa e i suoi successori danno origine alla dinastia dalla quale, dopo varie generazioni, Rea Silvia darà alla luce Romolo e Remo e in seguito la gens Julia, con Giulio Cesare e il primo imperatore Augusto. In questo modo, la discendenza divina dei Romani e della stirpe Julia sarebbe rafforzata dalla discendenza da Venere e da Marte. Lo stesso Livio cercò, infatti, di colmare questo lasso di tempo di circa quattro/cinque secoli, "creando" appositamente una dinastia albana dei Silvi, che regnò su Alba Longa da Ascanio (figlio di Enea) fino ad Amulio e Numitore (quest'ultimo nonno di Romolo e Remo).[34]


Romolo e Remo nell'arte, letteratura, teatro e cinema



Note


  1. Strabone, Geografia, V, 3,2.
  2. Nel racconto di Livio, Rea Silvia, stuprata, indicò nel dio Marte il responsabile dell'atto, Ab Urbe Condita, Liber I, 4.
  3. Museo nazionale romano e Soprintendenza archeologica di Roma, Roma: Romolo, Remo e la fondazione della città, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 2000, p. 101.
  4. Tito Livio, Ab Urbe Condita, I, 2
  5. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.4.
  6. Livio, Ab Urbe condita libri, I, 3.
  7. Dionigi di Alicarnasso, I, 71.
  8. Diodoro Siculo, VII, 5.
  9. Virgilio, Eneide, VI, 767 e segg..
  10. Ovidio, Fasti, IV, 35, segg..
  11. Plutarco, Vita di Romolo, 3, 3.
  12. Plutarco, Vita di Romolo, 3, 4.
  13. Livio riporta come Rea Silvia, subito uno stupro, per redendere meno turpe il fatto, attribuì la paternità al dio Marte, Ab Urbe condita libri, I, 4.
  14. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I 78.5
  15. Livio riporta che Rea Silvia fu arrestata ed incatenata, Ab Urbe condita libri, I, 4.
  16. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.2.
  17. Varrone, De lingua Latina, V, 54.
  18. Scoperta la grotta di Romolo e Remo, su corriere.it. URL consultato il 22 gennaio 2008.
  19. Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 4.
  20. Plutarco, Vita di Romolo, 4, 2-4.
  21. Plutarco, Vita di Romolo, 3, 5-6.
  22. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.3.
  23. Suida, Lexicon, graece et latine. Tomo terzo, p. 257. Halle e Brunswick, 1705.
  24. Livio, Ab Urbe condita libri, I, 5.
  25. Plutarco, Vita di Romolo, 7-8.
  26. Livio, Ab Urbe condita libri, I, 6.
  27. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.5.
  28. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.6.
  29. Plutarco, Vita di Romolo, 9, 5.
  30. Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 1.8.
  31. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 87, 2.
  32. Plutarco, Vita di Romolo, 9, 4; 11, 1.
  33. Ovidio, Fasti, 445-492.
  34. Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 3.

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[de] Romulus und Remus

Romulus und Remus waren nach der römischen Mythologie die Gründer der Stadt Rom im Jahre 753 v. Chr. Sie waren nach der Sage die Kinder des Kriegsgottes Mars und der Priesterin Rhea Silvia.
- [it] Romolo e Remo



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